Prendete posto sulla macchina del tempo, prego, e regolate la data d’arrivo di qui a trent’anni, nel 2041. Programmate l’atterraggio su piazza Montecitorio, Roma, dirigetevi poi verso l’edificio di Montecitorio dopo aver fornito gli algoritmi di riconoscimento del vostro Dna al robot-carabiniere e accomodatevi in tribuna per assistere ai lavori d’aula. Chi parla? Un anziano e ormai malandato Pier Luigi Bersani. Che dice? Attacca il capo di un governo di centrodestra del futuro. Ed ecco che udite qualcosa che vi fa fare sobbalzare: incredibile ma vero l’oratore sta tessendo l’elogio di Berlusconi: «Al di là dei legittimi motivi di contrasto che allora ci portarono ad avere con lui uno scontro anche aspro, dobbiamo oggi riconoscere che di fronte all’attuale capo del governo di destra, Berlusconi fu certamente uno dei più dotati statisti del nostro Paese...».
Voi direte: fantascienza (anzi fantagiornalismo) da quattro soldi. Quando mai un Bersani di qui a trent’anni potrebbe definire «statista» Berlusconi in odio del quale ieri l’opposizione ha disertato la Camera senza tener conto di quanto porti iella una ritirata dell’Aventino a cominciare da quella del 26 giugno 1924, quando le opposizioni abbandonarono il Parlamento permettendo a Mussolini di liquidare la democrazia parlamentare (e oggi, quanti sarebbero pronti a difenderla anche con la vita?).
Il fatto è che un tale fanta-avvenimento, Bersani o qualche altro leader della sinistra, che fra trent’anni possa citare Berlusconi come un padre della Patria, è sì frutto di perversa immaginazione, ma è anche perfettamente in linea con la realtà. Anzi, con la tattica con cui da decenni si manipola la realtà. Che cosa sta succedendo, infatti? Che ormai da sinistra si leva un coro nostalgico per tutti i politici della prima Repubblica, tutta gente ormai morta di cui pochissimi ricordano perfino il nome. Chi invece ricorda, e io sono fra questi, che cosa fosse la politica e la bassezza degli insulti e delle accuse fin dai tempi delle prime elezioni politiche del 1948, trasecola. I democristiani di allora, incluso l’oggi celebratissimo Alcide de Gasperi, erano allora chiamati «forchettoni» e in massa accusati di collusione con la mafia, gli americani, gli agrari, di essere nemici del popolo. Tutti indicati come persone volgari, ignoranti, abominevoli, affaristi guidati dall’odio per i lavoratori e dall’amore per il denaro.
Con loro, oltre ai democristiani, erano i socialdemocratici e a fasi alterne - secondo se fosse o non fosse in atto un’alleanza fra il Psi e il Pci - i socialisti. La violenza degli insulti, la bassezza delle accuse, erano il frutto di un’abilissima strategia comunicativa creata da Palmiro Togliatti, segretario di un geniale ma devastante Partito comunista che egemonizzava l’intera sinistra con i suoi giornali e l’efficientissimo attivismo. Persino i missini, i neofascisti, anche loro potevano essere a corrente alternata e secondo circostanze, il male personificato ma anche il nuovo che avanza: quando nel 1958, i fascisti si resero disponibili per un’operazione di scandaloso trasformismo come la giunta siciliana Milazzo, diventarono buoni, anzi «statisti». L’aggettivo «statista» è una sorta di laurea magna cum laude elargita in genere alla memoria e fuori da ogni tempo massimo. Requisito importante per diventare statista è indubbiamente l’essere morti e sotterrati, con tutti gli onori o tutti i disonori, poco importa.
Un tale processo di lenta canonizzazione postuma si nota oggi nei confronti di Bettino Craxi, l’uomo che ebbe la generosa dabbenaggine di «sdoganare» i comunisti italiani dopo la caduta del comunismo sovietico (i famosi dialoghi nel camper fra il leader socialista e i giovani Veltroni e D’Alema) e che poco dopo fu trattato come un bandito da strada, additato al pubblico disprezzo. Basterebbe ricordare i nomi di Giuseppe Saragat (il socialista colpevole di aver rifiutato il fronte comune con il Pci) o del repubblicano Randolfo Pacciardi (valoroso comandante antifranchista in Spagna) o della medaglia d’oro della Resistenza Edgardo Sogno, per ritrovare figure repubblicane di uomini che finché furono in vita si trovarono attaccati, aggrediti, derisi, infamati, diffamati e accusati di ogni nefandezza, trovando poi una via per il paradiso postumo. Grazie ad una citazione storica del presidente Napolitano, persino Giuseppe Pella - un arcigno conservatore chiamato al governo soltanto per far approvare il bilancio dello Stato - è diventato un eroe della Repubblica; e anzi tutta la prima Repubblica con i suoi partiti e fazioni di partiti (dorotei e morotei, forzanovisti e fanfaniani, e nel Psi lombardiani, vecchiettiani, autonomisti, frontisti e così via) è andata articolandosi in una serie di presepi di nostalgia. Che tempi meravigliosi, quelli dei grandi statisti, meglio se conservatori, liberali, non di sinistra ma - guardate i loro busti austeri! - così dignitosi.
Chi ha meno di 50 anni e poco sa o ricorda, è indotto a pensare che ci fu un tempo dell’oro e del decoro in cui giganti dell’etica si confrontavano su alte questioni politiche, mentre oggi si vive un’epoca mefitica che costringe un pugno di valorosi a contrastare un’orda di ladri, mafiosi, nemici e affossatori della libertà. Ebbene, tutto ciò è falso: tutti questi padri fondatori dovettero passare sotto le forche caudine del disprezzo, del linciaggio, dei processi mediatici e soltanto dopo essere morti e ben sepolti, sono stati assunti in cielo con appositi montacarichi ideologici e usati nel modo con cui i cacciatori usano gli uccelli da richiamo per combattere gli avversari di oggi.
Adesso, in questa fase di attacco sconclusionato e senza prospettive politiche contro il governo in carica, il party per gli autorevoli morti viventi è in pieno svolgimento senza che nessuna, o pochissime fra le teste pensanti, abbia avuto nulla da obiettare.
Dunque, perché non prevedere che arriverà il giorno in cui anche il «cinghialone numero due», Silvio Berlusconi, verrà recuperato e trasformato in uno statista creativo, da usare contro i nemici del futuro. Tanto, fra trent’anni chi ricorderà più nulla? Le generazioni si succedono, la memoria si spegne e la vecchia tattica funziona: ucciderli da vivi, riesumarli con accortezza. Tanto, chi vuoi che ricordi?- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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