Repubblica Ceca, la paralisi è il verdetto finale delle urne

Cento seggi a testa per sinistra e centrodestra. Poche le alternative: o una «non sfiducia» dei socialdemocratici o si torna al voto

Roberto Fabbri

nostro inviato a Praga

Andati a dormire con il dubbio legato a una maggioranza incertissima per l’opposizione di centrodestra, i cechi si sono svegliati in piena crisi politica. Il conteggio finale dei voti ha ufficializzato il peggior risultato possibile: la perfetta parità tra due schieramenti contrapposti. Sui duecento seggi della Camera, cento sono andati a destra e cento a sinistra. In particolare, 83 ai conservatori dell’Ods, 11 ai democristiani e 6 ai verdi; dall’altra parte 74 ai socialdemocratici e 26 ai comunisti, eredi mai pentiti del regime sostenuto dai carri armati di Mosca e con i quali nessuno si dice disposto ad allearsi. La vecchia maggioranza di centrosinistra (socialdemocratici, democristiani e liberali, questi ultimi usciti dal Parlamento) è a pezzi, ma una nuova non c’è. A quella ipotizzata fino a ieri (Ods più democristiani più verdi) manca un solo seggio e lo stesso vale per l’ipotesi di un monocolore socialdemocratico sostenuto dall’esterno dai comunisti.
Ma non sono solo i numeri a creare problemi. È il clima politico a essere diventato irrespirabile. Ieri sera il premier socialdemocratico uscente Jiri Paroubek ha rivolto in televisione accuse pesantissime all’Ods e alla stampa a lei vicina azzardando paragoni con il colpo di Stato comunista di Gottwald del 1948. Il furibondo Paroubek si è perciò rifiutato di ammettere la sconfitta e pensa di chiedere a un tribunale di invalidare le elezioni. La sconfitta non è stato necessario riconoscerla perché ricontando i voti si è accertata la parità perfetta, ma sul resto è scoppiato un putiferio. Il leader Ods Mirek Topolanek gli ha dato prontamente dello stalinista (qui sanno bene cosa vuol dire) e lo stesso presidente della Repubblica Vaclav Klaus si è precipitato in televisione per dire che le elezioni erano state regolarissime e che i paragoni storici azzardati da Paroubek erano inaccettabili. Lunedì (oggi per chi legge, ndr) il presidente avrebbe dunque avviato normali consultazioni per la formazione del governo.
Vista l’impossibilità di formare qualsiasi altra coalizione, Topolanek ha offerto comunque ai socialdemocratici una grande coalizione alla tedesca, ma Paroubek per ora la rifiuta: oggi riunirà i suoi deputati neoeletti raccomandando loro di prepararsi all’opposizione, convinto in cuor suo che Topolanek fallirà. Poi, ha detto sibillanamente, «aiuteremo la stabilità politica». Al tempo stesso i comunisti, che la sera prima si erano detti pronti a sostenere Paroubek che voleva invalidare il voto, hanno già cambiato idea: ora che i risultati sono meno negativi di quanto prima sembrassero, hanno dichiarato di «rispettarli» e di essere pronti a entrare in un governo di «unità nazionale».
Concetto questo al momento remotissimo dal mondo politico ceco. Impazzano ancor più di prima polemiche e accuse velenose sugli scandali che avevano messo nei guai Paroubek e che ora sembrano infangare anche l’Ods. Tra i cechi, scettici per natura e per vicissitudini storici, già serpeggia la disillusione.

Una nuova chiamata alle urne è già sullo sfondo, ma tutti sono consapevoli che sarebbe una scelta pericolosa. Bisognerà tirare fuori dal cilindro un qualche miracolo: c’è chi dice che alla fine i socialdemocratici potrebbero accettare di concedere una sorta di «non sfiducia» a un esecutivo di centrodestra a guida Ods.

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