La breve stagione della Repubblica sociale italiana e il suo ruolo sullo scacchiere politico nazionale e internazionale riacquistano la prospettiva loro più plausibile mettendo sotto scacco le avventurose chiavi di lettura che fino ad oggi l'hanno caratterizzata. I rapporti tra il duce del fascismo e il führer appaiono insomma depurati da quell'alone di mitologia che, secondo alcuni studiosi anche autorevoli come Pierre Milza, Renzo De Felice e Franco Catalano, li avrebbero visti avvolti dai diktat del dittatore tedesco e dalla volontà sacrificale del Duce disposto a qualsiasi rinuncia pur di evitare all'Italia un destino fatale. Di questo infatti si sarebbe intriso l'ultimatum nazista: se Mussolini non riprenderà l'antico ruolo di capo del Fascismo all'Italia sarà riservata la stessa sorte della Polonia, se non addirittura una peggiore. E questo grazie anche alle nuove e devastanti armi che si attribuivano ai cantieri tedeschi. Non sarebbe quindi andata così, come alcuni storici sono stati propensi a credere, negli anni dal '43 al '45. Anzi.
Ora a rimettere ordine nelle confuse versioni della storia italiana di quegli anni ci si è messa Monica Fioravanzo che, nel volume «Mussolini e Hitler» (Donzelli, pp.215, 16 euro), parte proprio dalle favole per molti anni avanzate in proposito per giungere a considerazioni più verosimili e logiche con l'ausilio di documenti che ne proverebbero l'indimostrabilità. Il Duce che venne liberato al Gran Sasso dopo una prigionia di 45 giorni appariva un uomo stanco, forse malato, certo sfiduciato ma pronto a ricominciare, benché con premesse diverse. Se ancora rimaneva qualche probabile scampolo di speranza in un tardivo trionfo tedesco nella guerra ancora in corso, la Repubblica sociale avrebbe potuto inserirsi nel quadro del nuovo ordine europeo nazista seppure con un ruolo e un prestigio più defilato.
Docente di storia contemporanea a Padova e studiosa delle elite politiche dell'Italia repubblicana, Monica Fioravanzo monta per poi smontare con grande accuratezza la lettura storica degli eventi fornita da Milza e De Felice. Non appare dunque plausibile la lettura di un Mussolini pronto alla pensione ma improvvisamente disposto a rinunciarvi per salvare l'Italia dal tracollo che Hitler avrebbe minacciato in caso di rifiuto a continuare a combattere. Un mosaico di tesi che la Fioravanzo non esita a definire «falsi storici» e che per questo si sente in dovere di svelare nel tentativo di restituire agli eventi la loro esatta successione e collocazione nel tempo. «Mussolini e Hitler» ricompone così un affresco in cui finalmente acquistano credibilità tesi storiche più conformi a quanto accadde in quell'epoca, oggi restituite alla dignità che seducenti quanto avventurose illazioni le avevano in un primo tempo sottratto.
La Repubblica sociale insomma fu forse quello che doveva essere e niente di diverso: non costituì alcuno scudo rispetto al Reich, ma non ne fu nemmeno una forza antagonista, non svolse un'azione statale e di governo perché non ne ebbe mai la possibilità e di fronte a un'eventuale vittoria tedesca, ottenuta in extremis, non avrebbe potuto vantare alcun credito. Fu un'esperienza politica italiana, tutta italiana, tesa soltanto a riaffermare i valori e i presupposti del Fascismo messi in crisi, come sempre sostenne Mussolini, da un gruppo di traditori.
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