«La Repubblica» sparge odio, poi cade nell’imbarazzo

del 30 ottobre appariva in prima pagina la foto degli scontri fra gli studenti, in seconda Dario Fo che li incitava a capovolgere l’ordine costituito. In terza gli insulti a Cossiga, poi le frasi del cobas Bernocchi che incitano alla lotta. Travaglio che alla Cattolica di Milano proclama la falsità dell’informazione televisiva. Il massacro della famiglia e della domestica della contessa Manzoni Ansidei ad opera di partigiani nel luglio del 1945 a Lugo di Romagna. Aggiungo il blog di Facebook, sul quale più di duemila persone si dicono pronte a uccidere il presidente del Consiglio. Che dire? Odio puro, concentrato odio. Ma dove si va a finire in questo modo, caro Granzotto? Infine ho letto dalla lettera del signor Bruno Di Pasquale le esternazioni di don Mazzi su Rainews in merito al maestro unico, definito carceriere, incapace di educare e insegnare, una figura inopportuna e aberrante. Non m’importa di sembrare fuori dal tempo, ma anche oggi, nonostante tutto, cercherò di amare il prossimo come me stesso. Lo so, è difficile, ma ci provo perché credo sia giusto.
Maurilio Magistroni - Vittuone (Mi)

L’odio è sempre stato il companatico della sinistra, caro Magistroni, a cominciare da quello di classe in nome del quale sono state commesse stragi bestiali. Naturale, quindi, che non essendo spontanee ma orchestrate dalla sinistra politica e della società detta civile, le chiassate studentesche di questi giorni grondino odio. A Torino, una bambina delle elementari, sei-sette anni al più (e ripeto: ma il Telefono Azzurro cosa ci sta a fare?), sfilava tutta giuliva innalzando un cartello con questa scritta: «Ho pestato una Gelmini. Uhhh che puzza!». Persino il dissenso «da sinistra» per quelle manifestazioni è animato dall’odio. La famosa invettiva di Pierpaolo Pasolini contro i sessantottini scandiva: «Avete facce di figli di papà. Vi odio come odio i vostri papà». Odio, odio e ancora odio. I registi delle proteste di questi giorni (che la sinistra vorrebbe innescassero un nuovo Sessantotto tale, è ovvio, da costringere Berlusconi a dimettersi, perché quello è il dente che duole e sempre lì batte la lingua) non rinunciano ad alcuna mascalzonata, pur di ispirare, di instillare odio. Ma per fortuna non sempre la ciambella riesce loro con il buco. È successo alla Repubblica, fabbrica dell’odio fra le più rinomate. Riferendo della cagnara davanti al Senato, l’altro ieri un suo cronista - Curzio Maltese, tanto per non fare nomi - descriveva così i fatti: da una parte i buoni, ragazzini «quattordici anni al massimo, spaventati, paonazzi». Di là i cattivi, «una sessantina», tra i venti e i trent’anni ma ce n’è uno anche di quaranta, «con caschi e passamontagna», arrivati «con un camion carico di spranghe e bastoni», che «menano cinghiate e bastonate», che «circondano un ragazzino di tredici, quattordici anni e lo riempiono di mazzate». E la Polizia? «La polizia, a due passi, non si muove». Però parla. E dice, così sostiene il cronista: «Arrivano quei pezzi di merda dei comunisti». Arrivano, ma, scrive sempre il cronista, i celerini aspettano a intervenire lasciando che il «manipolo» dei cattivi dia addosso a «un gruppo di quattrocento di sinistra» che si difende come può, con le sedie e i tavolini di un bar. Niente vero. Il giorno appresso Carlo Bonini è costretto, sempre sulla Repubblica, a smentire le balle del collega Maltese: di camion carichi di spranghe e mazze ce n’erano due: uno «nero» e l’altro, ma guarda tu, «rosso». La Polizia è intervenuta «dopo tre minuti». E la carica «studentesca», l’aggressione, partì «dal settore degli studenti di sinistra» perché «è un fatto che il Blocco (i cattivi, quelli di destra) si ritiri in un angolo assicurando alla polizia che rinuncerà al confronto».

Ed è un altro fatto che fra gli «studenti» di sinistra la polizia arresti, colto con la mazza in mano, un Gorez Yassir, di anni trentaquattro, «dipendente di Rifondazione comunista». E i «quattordicenni paonazzi» che tanto conturbarono Maltese? Su di loro Bonini ha preferito calare un velo di pietoso, imbarazzato silenzio.
Paolo Granzotto

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