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Le responsabilità occulte nelle morti bianche

L’Italia è l'unico dei Paesi europei e democratici ad avere un sindacato di Stato. Il problema nacque quando il governo del Cln dovette decidere cosa avrebbe fatto del sindacato unico di Stato costruito dal fascismo. La scelta fu di affidare alla Confederazione del lavoro, allora unica, ma già composta da comunisti, socialisti e democristiani, la gestione dei beni delle istituzioni corporative sindacali. Chi si opponeva a questa omologazione di tutte le correnti sindacali in un unico organismo fu il segretario socialista Bruno Buozzi che venne fucilato dai tedeschi a La Storta dopo la liberazione di Roma. Ci furono molti misteri circa quella morte.
Il sindacato unico nacque con un patrimonio ereditato dal fascismo e con la medesima concezione di sindacato di Stato, che era democratico perché si articolava in tendenze politiche, quelle già indicate. Fu possibile nel ’48 giungere all’uscita dei democristiani della Cgil, senza toccare il principio della spartizione tra i sindacati dei beni del passato regime. Alla base del concetto fascista, vi era quello di separare i sindacati dai lavoratori, impedendo l’elezione diretta dei rappresentanti sindacali. Ciò venne mantenuto con il monopolio delle liste presentate dai sindacati di partito. L'idea base era quella di mantenere la collaborazione dei partiti antifascisti, pensando che proprio il sindacato di Stato avrebbe favorito lo sviluppo della classe operaia. Ma questo concetto era tutto identico a quello del fascismo, perché era inteso a gestire il lavoro in modo che esso fosse omogeneo alla struttura politica del potere in Italia.
Vi fu chi si oppose a questo disegno. Fu un sindacalista cattolico, Giuseppe Rapelli, che fondò nel '57 alla Fiat il sindacato dell'Automobile che raccolse i massimi consensi nelle elezioni interne. La linea cattolica della democrazia sindacale si opponeva al sindacalismo di Stato e di partito. Fu naturalmente linciato, il sindacato dell'Automobile venne chiamato sindacato «giallo» dal capo dei sindacati democristiani piemontesi, Carlo Donat Cattin, che riuscì ad ottenere l'appoggio della Dc guidata da Fanfani al blocco del tentativo di democrazia operaia. Alla Fiat sorse più tardi il movimento dei «quarantamila», ancora una rivolta dei lavoratori aventi il compito nell'azienda di mettere fine a uno sciopero che non terminava mai.
I sindacati di Stato sono fondati sul privilegio, e per confermarlo vengono loro affidati enti previdenziali, enti assistenziali, persino la cooperazione con il Terzo mondo, sono considerati a tutti gli effetti come un braccio sociale dello Stato. Gestiscono le buste paga, le pensioni, le imposte, sono un modo di controllo politico per garantire l'omogeneità tra il lavoro e le istituzioni. In questo modo sono diventati anche dei privilegiati: «L'altra casta» che Stefano Livadiotti ha descritto con tanta efficacia. Il punto forte del libro è soprattutto quello di denunciare le «allegre finanze del sindacato». E vi è un punto teorico di principio: la critica del sindacato alle commissioni di fabbrica impedendo che vi siano alternative a esse e togliendo alle commissioni interne il diritto di autorappresentazione. Tra il sindacato postfascista e quello fascista vi è la continuità del controllo della democrazia nelle fabbriche come chiave della stabilità politica del paese. Ciò ha impedito un collegamento tra i lavoratori sul terreno e la loro rappresentanza sindacale.
Ci domandiamo se le morti bianche, le morti sul lavoro, siano dovute al fatto che i sindacati della triplice hanno espropriato i lavoratori della loro rappresentanza diretta. Sembra paradossale, ma gli incidenti sul lavoro indicano la necessità che siano i lavoratori stessi impegnati nella singola azienda a giudicare la validità delle norme di sicurezza. Se ci fosse la democrazia sindacale, e se la commissione interna fosse pensata come la chiave di essa, i lavoratori sul terreno avrebbero avuto più autorità e più competenza. Quello che sanno fare i sindacati della triplice è solo organizzare l'occupazione di strade e ferrovie e protestare per una morte bianca. Non pensando che se esistesse la democrazia interna nelle fabbriche e nei luoghi di lavoro l'autorità e la competenza dei rappresentanti eletti avrebbe più peso anche nei confronti del patronato.
Liberazione, l'organo di Rifondazione comunista, racconta come gli operai di Mirafiori hanno motivato il loro voto in queste elezioni politiche: sostenendo che i «rifondatori» parteggiavano per omosessuali e immigrati e non per i loro rappresentati, i cittadini operai.

Se il voto politico dovesse tradursi in responsabilità sociale, questo sarebbe un problema complesso e non da archiviare. La Costituzione aveva previsto la registrazione dei sindacati e la legge sullo sciopero negli articoli 39 e 40. Ma qui la Costituzione è rimasta lettera morta.
Gianni Baget Bozzo
bagetbozzo@ragionpolitica.it

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