Restaurata la cappella che stregò Goethe

Nel 1449 il diciottenne Mantegna firma il contratto per realizzare un ciclo di affreschi per la cappella Ovetari nella chiesa degli Eremitani di Padova. Ad affidarglielo era stata Imperatrice Capodilista, in esecuzione della volontà del defunto consorte Antonio di Biagio degli Ovetari, che nel 1448 aveva lasciato 700 ducati per far dipingere nella cappella di famiglia le storie di san Giacomo e san Cristoforo. A due esordienti, Mantegna e Niccolò Pizzolo, fu affidata una parte consistente del lavoro (il resto ai più affermati Giovanni d’Alemagna e Antonio Vivarini). Ma a portarla a termine nel 1457 fu solo Mantegna, per la morte del compagno in una rissa.
Il risultato fu eccezionale. E colpì Goethe il quale, nel Viaggio in Italia del 1786, applaude: «Che incisiva, sicura concretezza in quei dipinti! Da questo realismo tutto autentico... aspro, netto, luminoso... hanno preso l’avvio, come potei constatare nei dipinti di Tiziano, i pittori successivi».
Un bombardamento alleato nel 1944 distrusse gran parte dell’opera.

Ma un lavoro certosino, sostenuto dalla Fondazione Cassa di Risparmio di Padova e Rovigo e da altri enti, ha permesso il restauro della struttura e la restituzione della decorazione pittorica dell’intera parete sud, con la ricollocazione di numerosi frammenti tra gli 80mila conservati. Una metodologia informatica ha permesso di ricomporre il «puzzle». Sulla parete nord e sulla volta centrale una proiezione del resto della decorazione dà un’idea complessiva del ciclo affrescato.

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