Oltre 200 fra oncologi, endoscopisti, radioterapisti e chirurghi, esperti di fama mondiale della problematica dell'adenocarcinoma del cardias (il tumore dell'esofago terminale), si sono ritrovati di recente a Verona in un convegno dedicato alle neoplasie dell'esofago. L'evento, promosso dal professor Giovanni de Manzoni dell'università di Verona, ospedale Civile Maggiore e studioso da anni della tematica, rappresenta una sorta di primo appuntamento introduttivo al congresso mondiale del cancro dello stomaco e del cardias, in programma a Verona nel 2013 (previste oltre 1200 persone) e del quale lo stesso de Manzoni sarà presidente.
Parecchi i punti affrontati. Dall'uso affiancato alla chirurgia di cure chemioterapiche e radioterapiche a terapie endoscopiche compresa una nuova tecnica fotodinamica, adottata per piccoli tumori insorti su esofago di Barrett. Si cercherà di chiarire i punti controversi sugli stadi della malattia. «Il cancro dell'esofago terminale è una patologia senza dubbio in crescita dal punto di vista dell'incidenza», spiega il professor de Manzoni. «È più frequente negli uomini ed una volta era considerato una neoplasia rara. Oggi è uno dei tumori con il ritmo di crescita più rapido nei Paesi occidentali. Non è facile da individuare e definire per via della sua collocazione (il cardias è un organo che si trova al confine fra il torace e l'addome) e l'assenza di una stadiazione dedicata crea problemi agli esperti». La prevenzione è fondamentale. Importante il controllo del peso corporeo e la gestione della malattia da reflusso gastroesofageo, fenomeno quest'ultimo presente nel 20 per cento della popolazione. «Il paziente che ne soffre deve, in caso di peggioramento, ripetere la gastroscopia, per individuare se si è formato l'esofago di Barrett, alterazione delle cellule della mucosa al passaggio fra esofago e stomaco, sentinella di un possibile sviluppo di cancro. Anche il medico, d'altro canto, deve fare in modo che il paziente, con esofago di Barrett, nel corso degli anni si sottoponga con regolarità a controlli endoscopici». Negli ultimi 20 anni la prospettiva di vita per questa patologia è migliorata grazie anche ad approcci multimodali (oncologo, radioterapista e chirurgo che lavorano insieme) e la percentuale della sopravvivenza globale è passata dal 7 al 40 per cento. Preso in una fase molto precoce questo cancro può essere trattato con la sola endoscopia evitando l'intervento chirurgico.
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