Il retroscena Due anni di ritardo per il crac mondiale

La terza enciclica di Papa Benedetto, che porta la data del 29 giugno ma è stata materialmente firmata dal Pontefice soltanto lunedì scorso, è tra i documenti ratzingeriani quello che ha avuto l’iter più lungo e travagliato. Della possibilità di nuovo testo sociale parlarono nei primi mesi del 2006, all’indomani della pubblicazione della prima enciclica di Benedetto XVI, Deus caritas est, i cardinali Karl Lehmann e Oscar Rodriguez Maradiaga. C’era da ricordare il quarantennale della storica lettera di Paolo VI, Populorum progressio (1967), che mettendo in luce il divario tra Nord e Sud del mondo, parlava di povertà e sviluppo dei popoli, e l’iniziale progetto prevedeva infatti l’uscita della nuova enciclica nel 2007.
La prima bozza, che era approntata dal Pontificio Consiglio per la Giustizia e la Pace e si avvaleva del contributo dell’economista bolognese Stefano Zamagni, era stata studiata dal Papa - che aveva fatto diverse integrazioni - e vagliata dalla Congregazione per la dottrina della fede, che aveva proposto numerose correzioni e inserzioni. Il Segretario di Stato Tarcisio Bertone, in più occasioni durante il 2007, aveva confermato che il Papa stava lavorando al testo, la cui pubblicazione era stata ipotizzata prima per marzo 2008, poi per la fine dell’anno. Lo stesso cardinale Bertone aveva allargato il numero dei collaboratori, facendo visionare il progetto e chiedendo contributi ad altre personalità dell’economia e della finanza, come ad esempio Ettore Gotti Tedeschi, presidente per l’Italia del Banco Santander Central Hispano nonché editorialista dell’«Osservatore Romano», uno dei candidati alla successione di Angelo Caloia alla guida dello Ior. I nuovi contributi avevano messo l’accento sul fatto che la bozza (elaborata nella primavera 2008 sulla base delle osservazioni dell’ex Sant’Uffizio) non riconosceva positivamente il ruolo del mercato, così com’era citato nell’ultima enciclica sociale, la Centesimus Annus di Giovanni Paolo II (1991). Nel frattempo però un nuovo dirompente fattore era entrato in gioco: la crisi economica e finanziaria mondiale. Si è a lungo discusso, nei sacri palazzi, sul da farsi: da una parte, non si voleva entrare troppo nel merito della fase contingente che vive l’economia del globo, per non limitare troppo la portata di un documento destinato ad avere una lunga valenza; dall’altra, non si poteva ignorare quanto stava accadendo, col rischio di produrre un’enciclica che sarebbe risultata distaccata dalla realtà. Così, la crisi è stata un’occasione per rimettere nuovamente mano a tutto l’impianto, anche se il tema della crisi in quanto tale occupa appena il due per cento del testo, mentre molto più spazio è dedicato alla nuova ideologia della tecnica, alla libertà religiosa, alla difesa della vita, all’ambiente. Il tracollo finanziario ed economico non è stato affrontato sulla base di ricette precostituite - il Papa non pretende di far l’economista - ma ha permesso di affrontare tutta la tematica sociale sotto un’ottica diversa. Compito della Chiesa, ha ripetuto più volte il Papa è quello di essere vigilante e di aiutare a correggere il sistema esposto alle avidità di troppo, proponendo «modelli buoni» ma soprattutto richiamando all’imprescindibile responsabilità personale degli uomini.Osservazioni e correzioni alle varie bozze che venivano poco a poco approntate (sicuramente almeno quattro) sono continuate ad arrivare al Papa.

Un contributo contenente osservazioni dottrinali, che chiedeva di ancorare chiaramente la dottrina sociale contenuta nel testo nella verità delle fede, è arrivato alla fine del 2008 dal cardinale Paul Cordes, presidente del Pontificio Consiglio Cor Unum.

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