Roma«Quando ce vo, ce vo...». Sono passati solo pochi minuti dal botta e risposta con il ministro Vito quando Fini, appena uscito dallAula, si ferma a parlottare con Casini. Il presidente della Camera gira tra le dita una sigaretta e spiega al leader Udc le ragioni della querelle. Perché, dice, «che un ministro venga a raccontare che il governo chiede la fiducia in omaggio alla centralità del Parlamento non sera mai sentita». Unimmagine, quella di Fini e Casini intenti a parlare in pieno Transatlantico, che dopo le frizioni delle ultime settimane tra Berlusconi e il presidente della Camera non può che evocare i tempi in cui sullo scranno più alto di Montecitorio sedeva Casini.
Le situazioni, ovviamente, non sono paragonabili. E per lintensità della fronda - a quei tempi impreziosita dai quotidiani affondi di Follini - e perché allora non cera a sparigliare le carte la partita del Pdl che, spiega il segretario del Pri Nucara, «andrà avanti tra alti e bassi almeno fino al congresso fondativo di marzo». Di certo, cè che Fini si sta smarcando e non da ieri. «Se Vito non avesse detto che chiedeva la fiducia in omaggio al Parlamento non avrei aperto bocca», ripete per tutto il pomeriggio e a più interlocutori il leader di An. E pure Vito smorza i toni perché, spiega, «che il presidente della Camera possa dolersi della fiducia è cosa giusta e fisiologica».
Il punto, però, è che quello di ieri è solo lultimo di una lunga serie di interventi dinterdizione che non sono passati inosservati. «Il voto segreto sulleventuale legge elettorale europea, il no ai troppi decreti prima e al cesarismo poi, lo stop allemendamento della Lega e la lettera sulla giustizia al Corriere», elenca un deputato di casa a Palazzo Grazioli. Così, ci sta che il botta e risposta con Vito sia diventato loccasione di un deciso e alquanto surreale braccio di ferro. Con Berlusconi che manda a dire a Fini che «la fiducia era indispensabile», mentre preferisce chiudersi la bocca con le mani quando i cronisti gli chiedono un giudizio sulloperato del presidente della Camera. Giudizio che è facile cogliere nelle parole di Cicchitto, presidente dei deputati del Pdl, che dice di «non condividere» i rilievi di Fini. Perché, spiega il vicecapogruppo Napoli, «porre la fiducia è un atto politico previsto dai regolamenti parlamentari» e «dispiace che il presidente della Camera ritenga di dover commentare gli atti politici dellesecutivo». Esattamente la stessa obiezione che fece in privato Berlusconi quando Bonaiuti gli consegnò lagenzia nella quale Fini diceva no allemendamento sullimmigrazione.
Daltra parte, è noto che il leader di An stia giocando una doppia partita: quella istituzionale (con un occhio anche al Quirinale) e quella politica (con il braccio di ferro su statuto e direzione del nuovo partito). Tanto che nelleventualità di una presidenza onoraria del Pdl Fini ha fatto verificare - senza riscontri - se i suoi predecessori (Bertinotti e Casini) avessero mantenuto simili incarichi durante la loro presidenza. Così, non è un caso che il leader di An replichi al Cavaliere senza troppi fronzoli: «La fiducia è stata chiesta per problemi interni della maggioranza».
Il paradosso è che mentre prendono le distanze sia il premier che i capigruppo di Pdl e Lega («lei che oggi rivendica un ruolo super partes, in altre circostanze è intervenuto nel merito», polemizza Cota), con Fini si schiera invece lintera opposizione. Non solo con il lungo applauso che segue il suo intervento in Aula, ma pure con una serie di dichiarazioni. DallIdv allUdc, passando per gli elogi di Veltroni ed Enrico Letta. Tanto che mentre i deputati si riversano in Transatlantico è una sola la battuta che circola: «Finalmente il Pd ha risolto il problema della leadership...». Daltra parte, con la sponda del Quirinale, anche sulla giustizia il leader di An era riuscito ad incassare gli applausi e gli elogi del Pd.
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