Retroscena Il governo scende in trincea: «Nessuno verrà lasciato indietro»

Questioni di tattica negoziale. Il confronto, anche aspro, tra esponenti di governo e grandi aziende, come Fiat e Alcoa, era solo una «sfida psicologica» in vista dell’incontro decisivo: oggi per la Fiat su Termini Imerese, lunedì prossimo a Palazzo Chigi per l’Alcoa. Prima di un appuntamento importante, insegna Sun Tzu nell’«Arte della guerra», bisogna far vedere allo schieramento opposto che non ha alcuna possibilità di vittoria. Il senso è: arrendetevi prima di farvi male. La Fiat, rispettosa di questa regola, ha sempre detto che a fine 2011 deve chiudere Termini Imerese per gli alti costi logistici dell’impianto. Senza dare possibilità alcuna di replica. Fino a oggi.
L’intervista di Sergio Marchionne a La Stampa rompe gli schemi della tattica negoziale; forse, perché l’uomo dal pullover nero si è reso conto che l’Italia non è gli Stati Uniti e la Fiat è qualcosa di più, per gli italiani, di quel che la General Motors è per gli americani. Non solo in termini d’affetto, ma anche di onere a carico dei contribuenti. La pretattica è finita, ora gli eserciti sono in battaglia. Così ieri Marchionne ha offerto un’apertura, ma è una porta girevole perché nel pomeriggio di fronte alla rigidità del governo ha cambiato tattica: prima la Fiat era pronta a sobbarcarsi, insieme allo Stato, i costi sociali della chiusura di Termini Imerese, dopo ha chiesto una politica industriale per l’auto. Finora se 2mila siciliani perdevano il lavoro era un problema soltanto a carico dello Stato e della Regione Sicilia. Oggi, invece, dice che la Fiat è pronta a fare la propria parte. Ma non spiega quale. Vista la «debolezza» rappresentata dalla Fiat con questa apertura, diversi uomini di governo (nella logica di Sun Tzu) sono scattati per dimostrare a Torino che da quest’altra parte della barricata non sarà accolta in modo indolore la chiusura di Termini. Pronti a mettere sul piatto la posta degli incentivi auto.
La posizione degli uomini di governo (benché ispirata a logiche diverse: Schifani è siciliano e deve rimpadronirsi del Pdl Sicilia, oggi transfuga verso Micciché-Lombardo; Calderoli non è mai stato amico della Fiat; Scajola manifesta una prova muscolare) ha un minimo comune denominatore nello slogan del premier Berlusconi: nessuno verrà lasciato indietro. Davanti alla crisi, davanti al terremoto, davanti a Termini Imerese e davanti all’Alcoa. Se nel 2010 il Pil italiano potrà registrare un «salto» di sei punti (da -5% del 2009 al +1% di quest’anno) è anche perché - grazie agli ammortizzatori sociali - il governo è riunito a tamponare più di altri il crollo dei consumi. La cassa integrazione non ha garantito per intero il potere d’acquisto di un «esubero», ma ha comunque assicurato una forma di reddito; inferiore al salario, certo, ma ha garantito pur sempre «qualcosa».
In certi casi vale la regola: «Piuttosto che niente, meglio piuttosto».
Di conseguenza, la tenuta sociale italiana è diventata una componente funzionale del Pil. Tale da consentire quest’anno una rapidità nella crescita della ricchezza analoga solo a quella cinese.
Nel 2009 Pechino è cresciuta al 4%, quest’anno il Pil salirà al 10%: con una capacità di reazione analoga a quella italiana. Minare questa «tenuta sociale» con crisi locali (come Termini per la Fiat, come Portovesme per l’Alcoa) in territori già atavicamente in crisi strutturale, minaccia la strategia anti-crisi avviata dal governo al momento del suo insediamento. Per queste ragioni, l’atteggiamento del governo di centrodestra è sensibile alle crisi occupazionali. Alla difesa del potere d’acquisto. Alla tutela dei salari. Molto più di quanto fatto dai governi di centrosinistra. E affronta a muso duro vertenze come quella con Fiat e Alcoa.

Si tratta di vertenze che minacciano di innescare tensioni sociali in territori da tempo in crisi. Da qui l’atteggiamento in vista dell’incontro di oggi su Termini Imerese. È l’ultima sfida del governo per chiudere il lungo inverno della crisi «americana».

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