Il retroscena Ma nel partito è già guerra per dare il benservito al segretario

RomaIl risveglio, quasi un punto sotto la soglia-salvezza del 27%, è amaro per il Pd. Che ha scoperto all’alba, con sorpresa, di aver perso alle Europee anche due roccaforti storiche come Umbria e Marche. E le amministrative sono quasi peggio.
Certo, ci si consola con la battuta d’arresto nel campo avverso. Ma l’emorragia di voti rispetto al 2008, come spiega l’Istituto Cattaneo (côté prodiano), è pesante: 4 milioni di elettori sono fuggiti verso altri lidi o sono rimasti a casa. E non è certo bastato l’appello di Dario Franceschini ad una moratoria fino ai ballottaggi per frenare lo scontro interno. Il primo a rompere la tregua è Pierluigi Bersani, che ieri sera è andato in tv a spiegare che certo «il Pd non è morto» ed è un passo avanti. Ma quanto ai risultati, «certamente non va bene così» visto che «in un anno abbiamo perso 7 punti».
Bersani ha deciso di accelerare i tempi della sfida a Franceschini. Se la direzione del 26 giugno fisserà per l’autunno il prossimo congresso, lui vuole farsi trovare pronto, e con un pacchetto di mischia definito. Per questo ieri si è attaccato al telefono, cercando big e dirigenti per sondarli sulla sua candidatura. Due gli obiettivi dell’ex ministro: primo, aprire una breccia a suo vantaggio nel fronte ex Margherita, compatto su Franceschini, per non sembrare solo l’uomo della riscossa Ds; e per questo sta corteggiando Enrico Letta e Paolo Gentiloni. Secondo, ottenere - se non l’appoggio - almeno il via libera di D’Alema.
L’ex premier per ora sembra frenare. Sui risultati elettorali resta silenzioso, ma nel Pd diviso da scontri tribali non manca chi sottolinea che dal voto la forza contrattuale dalemiana non uscirebbe bene. Nel Centro il candidato super-sponsorizzato da D’Alema, Gualtieri, è finito ultimo degli eletti. Surclassato da Sassoli e dalla franceschiniana Silvia Costa, ma anche dal bettiniano De Angelis. A Bari, nella sua Puglia, la provincia passa al centrodestra e il sindaco Emiliano è in affanno. Nel Sud, il capolista De Castro (presidente della dalemiana Red) è scavalcato da Pittella e soprattutto dal bassoliniano Cozzolino. Paradossalmente, il contestatissimo presidente della Regione Campania si conferma ancora l’uomo forte delle preferenze: Cozzolino vola in Europa, mentre il suo «nemico» Nicolais, alla provincia, affonda. Un D’Alema indebolito che non può più fare il bello e cattivo tempo nel partito, secondo gli ex Ppi e anche secondo quell’ala dei Ds che, con Fassino, sostiene Franceschini. Lo stesso ex segretario Ds sembra pensare a lui quando fa notare ai suoi che le carte nel partito si sono rimescolate, «e chi pensava di poterle dare non è più in grado di farlo».
Franceschini ribadisce che a ottobre il suo mandato scade, ma i suoi sono certi che andrà alla sfida: «Per lui ogni punto d’arrivo è un punto di partenza», dice Fioroni. «Non ci sarà alcun rinvio del congresso», assicura Soro. «Bersani? Sarebbe un ottimo capogruppo», insinua Castagnetti. Marco Follini però è convinto che «ora i Ds lanceranno un’Opa per riprendersi il partito», e molti pensano che D’Alema non potrà non essere della partita. Di qui ad ottobre, però, altri potrebbero aggiungersi alla corsa.

«Il rinnovamento è necessario», dice l’outsider Debora Serracchiani, reginetta delle preferenze nel Nordest. I due candidati in campo, intanto, partono male in casa: nella Piacenza di Bersani la provincia passa al Pdl. E nella Ferrara del segretario si finisce al ballottaggio.

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