Organizzazioni umanitarie nel mirino, missione di pace dellOnu a rischio, ma pure timori di un colpo di stato sono i segnali del clima ad alta tensione che si respira in Sudan. Il mandato di cattura per crimini di guerra nei confronti del presidente Omar El Bashir, è una bomba interna che getta benzina sul fuoco del conflitto in Darfur. Lultima moda dei fedelissimi è ridurre a coriandoli le foto di Luis Moreno Ocampo, il procuratore dellAia che ha chiesto larresto, masticare i pezzi e risputarli con disgusto. Il generale-presidente, che negli anni 90 ospitò Bin Laden per poi espellerlo e riavvicinarsi agli Usa, alla notizia dellincriminazione, lo scorso 14 luglio, aveva ballato in tunica bianca e spadone islamico in pugno per irridere alla giustizia internazionale. Per ora il governo fa quadrato, ma nelle ultime settimane sono circolate voci insistenti su un colpo di Stato. Per togliere di mezzo Bashir e questa grana internazionale. Al momento, però, il generale è in sella e medita vendetta.
Le organizzazioni umanitarie straniere sono le prime nel mirino. Ieri i francesi di Medici senza frontiere (Msf) hanno ricevuto lordine di andarsene dal Darfur. Gli italiani in Sudan sono 415 (circa 300 nella capitale). Solo una ventina in Darfur, dove Intersos è lorganizzazione umanitaria con il maggior numero di volontari. «La situazione è già tesa da settimane. Cè grande allerta ed i piani di emergenza sono pronti. Limportante è mantenere una presenza umanitaria in Darfur», spiega al telefono da Khartum una delle coordinatrici dellimpegno italiano in Sudan. Nellultimo mese sono aumentati gli attacchi della criminalità nei confronti delle Ong. Parte del personale è stato evacuato dal Darfur a Khartum. Nella regione occidentale sono ripresi i combattimenti dopo i fallimenti degli accordi di pace col Jem, uno dei principali gruppi ribelli. «Siamo pronti a collaborare con la Corte penale internazionale per catturare Bashir», ha dichiarato Tahir el Faki, uno dei capi guerriglieri. La mattanza, scoppiata nel 2003 e di origine etnico-tribale, ha provocato 300mila vittime e due milioni e mezzo di profughi.
Da un paio danni il Darfur dovrebbe venir salvato da una delle più grandi missioni di pace delle Nazioni Unite di tutti i tempi, assieme alle truppe dellUnione africana. Sulla carta 26mila uomini, ma sul terreno, fino ad oggi, sono circa la metà. Pochi mezzi, cronica carenza di elicotteri ed i bastoni fra le ruote del governo sudanese hanno minato la missione fin dallinizio. Dopo il mandato di cattura per Bashir si temono rappresaglie contro i caschi blu ed il ritorno dei Janjaweed, i famigerati diavoli a cavallo, le milizie islamiche che iniziarono la pulizia etnica in Darfur. In seguito sono stati in parte sciolti, o integrati nellesercito. Anche la pace con il sud cristiano e animista, che provocò una lunga e sanguinosa guerra con gli arabi del nord, potrebbe subire contraccolpi dallordine di arresto. Specialmente perché questanno si devono tenere le elezioni.
Per evitare unimpennata della tensione molti Paesi arabi, africani e, dietro le quinte, gli stessi americani avevano chiesto allOnu di rimandare di un anno la decisione sullarresto del presidente sudanese. La Corte penale internazionale, nata nel 1988 a Roma sotto legida delle Nazioni Unite, è riconosciuta da 106 Stati, ma non da grandi potenze come gli Stati Uniti. Fino ad oggi non è riuscita a processare un solo criminale di guerra. Per la pulizia etnica in Darfur la Corte ha già spiccato due mandati di cattura. Il primo per lex ministro dellInterno sudanese Ahmed Harun, per aver pianificato la pulizia etnica. Invece che finire in manette è stato nominato responsabile del dicastero degli Affari umanitari.
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