Il retroscena Scalfari & C. sgambettano il nemico Max

RomaNon si può dire che la benedizione di Repubblica abbia sempre portato fortuna ai suoi destinatari. Anzi: è divenuto proverbiale il contrario. Ma Dario Franceschini non è superstizioso, e nella sua dura battaglia per la conquista della leadership Pd conta molto, moltissimo sul sostegno del giornale diretto da Ezio Mauro, con il quale ha rapporti amichevoli e frequenti.
Non che a Repubblica abbiano nulla di particolare contro il suo sfidante Pierluigi Bersani. Quello che davvero non possono sopportare è il principale sponsor di Bersani, Massimo D’Alema. Al quale, infatti, giusto ieri hanno riservato un servizietto niente male: un bel titolone a pagina 3, la prima su cui casca l’occhio aprendo il giornale: «E il premier incontra D’Alema: dialoghiamo sul futuro del Paese». Signori, l’inciucio è servito: D’Alema e l’odiato Cavaliere, quando pensano di essere lontani da orecchie indiscrete, si tendono la mano e si parlano, col primo che assicura al secondo: «Sulle cose importanti che riguardano il Paese io ci sono», conti su di me. E Berlusconi di rimando: «Sono felice, ci vorrebbero più occasioni di trovarci insieme nell’interesse del Paese». Sullo sfondo, chissà, c’è pure la candidatura di D’Alema a ministro degli Esteri Ue, con la benedizione del governo.
C’è da giurare che Ezio Mauro avrebbe dato qualsiasi cosa per avere anche la foto di quella stretta di mano con chiacchiere, officiata dall’immancabile Letta. Con quella in mano, e senza neanche bisogno di scriverci sopra «wanted, dead or alive», la campagna per Franceschini sarebbe stata bella e fatta. Se ne è reso ben conto Bersani, non poco preoccupato: «È incredibile che quell’incontro diventi una notizia, è un fatto normale che un premier incontri un ex premier», ha cercato di sminuire.
D’Alema ieri era tutt’altro che contento dello scherzo da prete di Repubblica. «Attenti a non costruire castelli di carta, colpisce che faccia notizia quel che in qualunque Paese civile sarebbe normale», avverte. Ma la guerra con il giornale di Largo Fochetti, dicono i suoi, era «pienamente prevista». Le relazioni sono pessime da anni, «perché D’Alema difende strenuamente l’autonomia della politica dai condizionamenti esterni, mentre Repubblica è convinta di avere la golden share del Pd e di poterne dettare la linea interna e quella contro Berlusconi», spiega uno stretto collaboratore. E la fiducia è tale che «i colloqui telefonici di Massimo con Repubblica si svolgono sempre in viva voce e davanti a testimoni, per evitare equivoci».
Non per nulla è stato D’Alema a rispedire al mittente il cosiddetto «lodo Scalfari», che voleva un accordo tra i candidati per dichiarare vincente chi prende un voto più degli altri, indipendentemente dai quorum fissati dallo statuto e senza passaggi per l’assemblea nazionale. «Abbiamo bisogno di un leader forte, eletto dai voti e non dai lodi. Ora è il tempo della ricerca del consenso, non delle alchimie», ha scandito ieri mattina, mostrando di non aver gradito per niente l’intromissione del «comitato elettorale di Largo Fochetti», come lo chiamano in casa dalemiana. E siccome il giorno prima c’era stata una cauta apertura di Bersani alla proposta di Repubblica, il fronte franceschiniano ha iniziato a sparare a raffica. «D’Alema detta ancora una volta la linea a Bersani», accusa il veltroniano Vassallo. «Si muove contro l’unità del partito», rincara l’ex Cgil Nerozzi. «Chiariscano la loro linea», dice l’ex Ppi Merlo. Scontro feroce anche con Ignazio Marino, che respinge un «lodo» studiato apposta per metterlo ai margini del confronto.

E alle accuse di «incoerenza» lanciategli da Franceschini, il chirurgo replica duro: sotto il titolo «La coerenza di Dario» mette sul suo sito i video delle tribune politiche in cui Franceschini assicurava che non si sarebbe candidato segretario Pd.

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