Roma C’è chi attizza il fuoco e chi fa il pompiere. Chi grida e chi bisbiglia fedeltà. È la strategia della «graticola» che tanto ama la Lega: consapevole del suo peso, tiene l’alleato Pdl appeso alle parole del Capo, Bossi. Minacciare e blandire. Minacciare soprattutto, come ha fatto nelle ultime ore Roberto Maroni. E dunque un po’ un gioco dei ruoli:Maroni l’attaccante e Marco Reguzzoni, il capogruppo alla Camera del Carroccio, in difesa, più conciliante. Ma al di là della tattica c’è qualcosa di più interessante sotto la graticola: i rapporti interni a via Bellerio e la consapevolezza, da parte della Lega e soprattutto di Maroni, di potersi giocare nei prossimi mesi la carta del premier leghista. Per il ministro dell’Interno la decisione di Berlusconi di armare i nostri aerei in Libia è insostenibile e il passaggio in aula è fondamentale.
Per il numero uno dei deputati leghisti, mercoledì non era assolutamente in discussione la tenuta del governo. Dietro questa schizofrenia di dichiarazioni ci sono la furbizia politica e la solenne arrabbiatura di Bossi, ma anche alcune incrinature interne. Se la posizione sulle bombe non si discute - la Lega è contrarissima all’attacco per motivi ideologici ed elettorali - diverse sono invece le inclinazioni nei confronti del Pdl e del premier: c’è l’ala dialogante di Reguzzoni e di Rosy Mauro, la vicepresidente del Senato, e quella più indipendente di Maroni e di Giancarlo Giorgetti, vicinissimo a Bossi. Al di là della compattezza esterna, in queste ore sta avanzando nel Carroccio una discussione effervescente. «C’è anche chi ha proposto di uscire dal governo e di offrire l’appoggio esterno», rivela un onorevole anonimo. E chi invece, come Reguzzoni, ha tentato di ricucire, salvo essere poi biasimato da qualche collega: «Doveva ammorbidire ma ha esagerato con l’ammorbidente».
Chi non ha niente da perdere nel versare ammoniaca bruciante nel dibattito politico interno al centrodestra è Maroni. Nella Lega raccontano che il suo è un rancore sincero: «Si è speso tanto per risolvere il problema dei clandestini e ora Berlusconi che fa? Dice che attacchiamo, così arriveranno a migliaia ». Dicono insomma che la voce di Maroni è la voce di Bossi. La voce di Radio Padania , dove centinaia di ascoltatori inviperiti riversano ogni minuto una rabbia appassionata contro il protagonismo francese scelte del governo. In un partito popolare, dalla base forte, come la Lega, tenere alta la voce è fondamentale. È il linguaggio della pancia, che ogni tanto rispolvera Bossi con le sue battute fulminanti. Questa volta l’abito del primo attore se lo infila Maroni. Ma qui subentra anche un’altra considerazione che qualche leghista non nasconde: «A chi non piacerebbe un Maroni premier?».
Ogni scontro nel centrodestra va inquadrato ormai nella cornice delle strategie per l’eventuale dopo-Berlusconi. Ma anche, è naturale, del dopo-Bossi. E dunque se è vero che «il Capo sa» che Maroni ha qualità per rivestire un ruolo più importante nel suo futuro politico, saprà anche che questo potrebbe significare un’ambizione di successione all’interno della Lega. Nel Pdl c’è chi sostiene che proprio il Capo, anche se non lo mostra, potrebbe essere molto infastidito dallo sgomitare del suo colonnello.
Del resto, prima del voto di sfiducia alla Camera del 14 dicembre (poi fallito), Gianfranco Fini propose proprio il nome di Maroni come possibile guida di un governo di transizione. Anzi, questa era la seconda scelta. La prima era Giulio Tremonti.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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