Retroscena Termini, conviene di più stare a casa che fare auto

nostro inviato a Torino

Questa sera Sergio Marchionne rivolerà dall’altra parte dell’Oceano. Ad attenderlo, nel quartier generale di Chrysler, ad Auburn Hills, l’ordinaria amministrazione: la verifica dei conti (il 30 aprile ci sarà la trimestrale), l’avanzamento dell’integrazione con Torino e del piano prodotti. E sempre dal suo ufficio nel Michigan, Marchionne si informerà sull’esito del tavolo su Termini Imerese convocato venerdì al ministero dello Sviluppo economico. A questo proposito il ruolo della Fiat sarà quello di semplice uditore.
La posizione del Lingotto sulla fabbrica siciliana è più che ufficiale: dalla fine del 2011 non si produrranno più automobili. E l’auspicio del gruppo è che «la migliore soluzione possa essere trovata da chi ha il compito di gestire il problema Termini», quindi le istituzioni. Da parte torinese viene ribadita la disponibilità a collaborare allo scopo di risolvere il problema sociale. Anche ieri il presidente Luca di Montezemolo, lasciando la palazzina del Lingotto al termine del consiglio di amministrazione, ha ribadito che «è il problema dei costi (1.000 euro in più a vettura) a rendere impossibile la produzione di auto in Sicilia». Nessuno lo conferma apertamente, ma nei corridoi di via Nizza si mormora che la mancanza di convenienza a realizzare autoveicoli a Termini Imerese sia tale che, addirittura, con una sorta di vitalizio per tutti i dipendenti della fabbrica la Fiat ci guadagnerebbe.
La palla, dunque, passa definitivamente a governo, enti locali e sindacati: sarà più o meno questo, con l’apertura a dare una mano a un eventuale piano di riconversione del sito (tra le ipotesi resta quella di creare una cittadella del cinema in stile hollywoodiano), il succo dell’intervento che l’emissario di Marchionne farà venerdì a Roma. Dalla Fiat, inoltre, affermano che non ci sono stati ancora contatti con la cordata italo-indiana capeggiata da Simone Cimino il cui progetto, presentato alla task force del ministero, riguarda la produzione di una vettura elettrica con ricarica solare. Un’idea simile sarebbe balenata anche alla Fiat, ma il vertice torinese continua a essere molto freddo sul tema elettrico, anche se un progetto legato alla 500 è in corso negli Stati Uniti. La ragione è semplice: l’aggravio dei costi (16mila dollari in più) farebbe impennare il listino, portando il prezzo al pubblico a 32mila dollari. La convenienza sarebbe solo per l’ambiente e non per il portafoglio. Ma il fronte siciliano non è l’unico a essere caldo in questo momento. Lo stabilimento di Pomigliano d’Arco, nel Napoletano, nei prossimi mesi si giocherà il suo futuro. A Torino una decisione è già stata presa, ed è sicuramente positiva per l’impianto campano: produrrà la Fiat Panda, modello che per l’azienda guidata da Marchionne è fonte di redditività insieme alla Punto.
In pratica, la linea della Panda traslocherà da Tychy, in Polonia, la fabbrica modello pronta a fregiarsi della certificazione «gold» nella speciale scala di miglioramento dell’organizzazione nel ciclo produttivo (Wcm), a Pomigliano. «Un atto di coraggio», come lo ha definito Montezemolo, ma soprattutto il riconoscimento del livello qualitativo raggiunto in Campania. Un detto americano recita che «quando c’è un’opportunità, esiste anche la possibilità - per scelta - di perderla». E Marchionne, rispondendo ieri agli analisti, ha fatto capire che un punto fermo su Pomigliano riguarda la necessità di disporre della flessibilità richiesta a produrre un modello come la Panda (nel caso con gli stessi ritmi di Melfi) e, quindi, «avere i livelli di efficienza analoghi a quelli di qualsiasi altro sito in Europa».

«Non è una minaccia - ha sottolineato il top manager - ma bisogna essere consapevoli che la Panda è uno dei modelli che più contribuiscono ai nostri risultati». I sindacati e gli operai di Pomigliano hanno qualche mese per riflettere.

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