Politica

Il retroscena Walter prende le distanze E nel partito scoppia il «caso Marrazzo»

Mentre a Roma sfilava la Cgil, e con la Cgil quasi tutto lo stato maggiore degli ex Ds (più Rosy Bindi), Walter Veltroni era in Sardegna. Le urne si apriranno domani, e il segretario del Pd è andato a dare manforte alle ultime ore di campagna del candidato che sostiene. Ma con Renato Soru non si sono neppure incrociati: il governatore uscente ha preferito concludere in proprio, smarcandosi dai vertici del suo partito. Non circola grande ottimismo, ma gli sguardi dello stato maggiore Pd saranno puntati assai più sul risultato del partito che su quello del candidato: Veltroni, come sintetizza un esponente a lui vicino, «sa che se Soru vince ha vinto Soru, se Soru perde ha perso Veltroni», o almeno questa sarà la linea di chi, all’interno del Pd, si prepara ad usare un eventuale calo del partito per alimentare la guerriglia contro il segretario.
Guerriglia che prosegue ovunque: sulla piazza romana della Cgil si è palesata ieri la separazione tra le due anime fondatrici del Pd: i Ds, in testa un D’Alema molto di sinistra («Il Pd deve rappresentare i lavoratori») e il candidato in pectore alla segreteria Bersani, al fianco di Epifani. Gli ex Margherita a casa, dalla parte di Bonanni e della Cisl. Veltroni «sostanzialmente vicino», come ha concesso il segretario della Cgil, tramite lettera, e tramite presenza di colonnelli di primo piano come Goffredo Bettini; ma fisicamente lontano. Ma critico sulla mancata firma alla riforma dei contratti. E convinto, confidano i suoi, che con Epifani il feeling si sia rotto e che il capo sindacale si prepari ad appoggiare apertamente e con le sue truppe, nella battaglia congressuale, lo sfidante Bersani. Anche se Cofferati, che ancora conta milizie in Cgil, sta dalla parte di Walter.
Guerriglia in Parlamento, dopo l’incidente su Ignazio Marino, il luminare della medicina e autore di un’avanzata proposta sul testamento biologico sostituito in corsa con una peone ex Udc, poi teocon e ora protégée di Peppe Fioroni. Sostituzione già decisa tre mesi fa ma formalizzata proprio nel momento peggiore, in pieno dibattito sul caso Englaro, dando l’impressione di un arretramento del Pd sulle posizioni cattoliche, e di una vittoria dei post Dc. Con gran stizza del segretario, che ha dovuto mandare un sms a tutti i parlamentari per rassicurarli sul fatto che «la linea del Pd non cambia». I suoi se la prendono con la capogruppo Finocchiaro «che ha scelto male i tempi», e con lo sgomitante Fioroni «che doveva esibire un trofeo». Ma anche con lo stesso Marino (dato come dalemiano al borsino interno) per aver fatto uscire la notizia su Repubblica, innestando la polemica.
Guerriglia anche nel Lazio, dove ieri è scoppiato il finimondo tra correnti Pd dopo il rimpasto della giunta regionale di Marrazzo. A dieci mesi dalle elezioni politiche, il governatore ha deciso di sostiuire la Sinistra arcobaleno con i dipietristi (che han beccato due assessori in un colpo) e di dare soddisfazione ai soliti popolari (anche qui lo zampino di Fioroni) dandogli il posto tolto ad un uomo vicino a Enrico Letta, che denuncia l’«autolesionismo» del Pd e le «spartizioni correntizie».

Mentre i dalemiani chiedono a gran voce le dimissioni del segretario regionale Morassut, veltroniano.

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