Il revival di Tonino: processo in piazza a Craxi

Milano Mani Pulite Revival. Milano, Craxi, la piazza: è come far dondolare il miele davanti all’orso. Antonio Di Pietro fiuta l’aroma e non resiste al richiamo. È l’associazione «Qui Milano Libera», in lotta contro l’idea della Moratti di intitolare la via a un «condannato e latitante», che si incarica di preparare la rimpatriata a Tonino. Appuntamento ad alto tasso simbolico in piazza Cordusio, cento metri in linea d’aria dal celeberrimo ufficio con vista Duomo, «dove il cosiddetto statista aveva la base e dove i suoi fedelissimi portavano le tangenti».
Sotto un cielo plumbeo e una pioggia infame, l’amarcord tocca vertici di autentico parossismo. Riecheggiano il lessico e i toni dell’indimenticabile epopea, quando per un avviso di garanzia il popolo esultava come a San Siro, quando il pool era la squadra del momento e quando i bomber del ct Saverio Borrelli erano più magici di Ronaldinho e Balotelli.
Non sembrano nemmeno passati tutti questi anni. C’è come la sensazione che il presepe di Mani pulite, allora riposto con cura nelle scatole della storia, venga improvvisamente rimontato con l’emozione della prima volta. Ci sono i pensionati indignati e forcaioli. Ci sono gli studenti con gli striscioni scritti a vernice spray. Ci sono i Torquemada e i Savonarola dei circoli culturali. Ci sono le bandiere tricolori e ci sono pure quelle della sinistra radicale, a sostegno. Ci sono cartelli che ricordano Gelli e Previti. Rispetto al ’92, il giornale infilato nella tasca del giaccone con la testata casualmente ben leggibile, come uno scudetto o come un distintivo del Rotary, è il Fatto quotidiano della premiata ditta Travaglio & C. Va riconosciuto: l’atmosfera e la sceneggiatura sono rigorosamente fedeli alla versione pionieristica, quando la piazza era la piazza, prima delle evoluzioni infantilmente scimmiottate dagli snob, di volta in volta definite morettismo, società civile, girotondismo, fino alla deriva malinconica dei Pancho Pardi e dei Flores d’Arcais. Qui manca solo la diretta di Paolo Brosio, schivato per un pelo dal tram.
In questo brodo primordiale, genere raduno con scambi di cimeli all’Isola di Wight, Tonino torna a sguazzare come una star. A introdurlo c’è addirittura Beppe Grillo, che all’epoca era per tutti un grande comico, e che per molti adesso fa solo ridere. Al grido «meno male che Di Pietro c’è», Beppe definisce l’ospite come la nuova criptonite della politica italiana, citando la pietra capace di togliere i poteri a Superman. L’allegoria piace, in Cordusio. Quando Tonino prende il microfono, l’applausometro sale di molto. All’inizio è tra il gigione e il sarcastico: «Sono qui come testimone informato sui fatti». Poi si fa più serio: «Non ce l’ho personalmente con qualcuno, non voglio infierire su un defunto. Sono preoccupato perché questa Milano sta tornando la Milano da bere degli anni ’80». Ogni riferimento all’attualità non è per niente casuale. Inutile specificare chi ne sia il vero destinatario. Non lo cita nemmeno lui. «Oggi c’è lo stesso problema di ieri. Oggi si entra nelle istituzioni e si fanno leggi personali, non è neppure più necessario commettere reati... ».
Nella piazza, sotto gli ombrelli, traspare la devozione per il santo molisano. Si respira la fede cieca nelle sue capacità messianiche e taumaturgiche. Rassicurante, questa visione della realtà: oltre Cordusio, nella Milano dei nuovi affarismi, si annida tutto il male. Qui, sul camioncino preso a nolo, si concentra il bene assoluto. Quanto meno, l’estatica assemblea dovrebbe un minimo di riconoscenza alla Moratti, che con l’idea di dedicare una via a Craxi ha dato il via anche al nutrito calendario delle rievocazioni. Quanto a Di Pietro, non gli pare vero di riaprire la caccia al Cinghialone, vent’anni dopo: «Stiamo assistendo a una riabilitazione farlocca. Lo dico soprattutto ai giovani che non c’erano. Nel ’92 non ci fu una rivoluzione giudiziaria per mandare a casa una brava classe politica. Craxi non era uno statista: era un corrotto che approfittò della politica per soldi».
Dev’essere l’aria di Milano, con quella sua vocazione particolare ad anticipare gli eventi e a dettare i tempi: le cronache italiane, bene o male, si fanno sempre un giro qui, in zona Duomo. Gli uffici di Craxi, poi il discorso del predellino, quindi la statuetta in faccia al premier, ora queste improvvisate celebrazioni di Mani pulite. Tutto in mezzo chilometro quadrato. Per il leader dell’indimenticata epopea giudiziaria, non è mai cambiato niente. Il suo monito suona come un anatema: «C’è il serio rischio che tutto possa ripetersi. Oggi la situazione è anche più preoccupante, perché i pm non hanno più gli stessi strumenti per combattere il crimine... ».
Da uno a dieci, l’intervento piace undici. Con l’aria che tira, questa «via Craxi» avrà un percorso tortuoso. In Cordusio, tra i reduci di Mani pulite, circola il fac simile dell’unica targa che metterebbe tutti d’accordo. È abbastanza simile al progetto della Moratti, varia solo in un piccolo dettaglio: «via! Craxi». Un punto esclamativo che spacca Milano. Ancora oggi, vent’anni dopo.

La storia, prima o poi, torna sempre sui suoi passi. Di Pietro, addirittura, sembra non essersi mosso mai. Sarà un caso, ma anche il revival si chiude come tutto in fondo era cominciato: «Resistiamo, resistiamo, resistiamo».

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