Roma - Tommaso Padoa-Schioppa spinge sull’acceleratore. E cerca di mettere a segno, nei tempi più rapidi possibile, il colpo grosso richiesto ossessivamente dalla sua coalizione: il ribaltone politico del consiglio di amministrazione della Rai. Un obiettivo che - al netto degli inevitabili ricorsi che la rimozione forzata di Angelo Maria Petroni farà scattare - appare ora più vicino. Il cda di Viale Mazzini ha, infatti, convocato, con un voto molto contrastato, l’assemblea degli azionisti dell’azienda, come richiesto dal ministro dell’Economia. La proposta è stata approvata a maggioranza con un risultato di quattro a quattro. Ma come previsto dalle norme in caso di parità prevale il voto del presidente. Alla riunione, per correttezza istituzionale, non ha partecipato Petroni.
L’assemblea, a questo punto, è convocata per il 5 giugno, con all’ordine del giorno «revoca di un amministratore e nomina di un nuovo amministratore della società». Nel frattempo Padoa-Schioppa continua nella sua offensiva verbale. E davanti alla commissione di Vigilanza mena fendenti contro il vertice dell’azienda. «Se la Rai fosse una normale spa avrei revocato tutto il cda, non solo un consigliere» attacca. Ma non essendo la Rai soggetta al solo Codice civile «non è stato possibile».
Il ministro, comunque, fa sapere di non pensare al commissariamento. «La crisi della società non è così acuta da giustificarlo» dice il ministro che rivela che il passivo ammonta a 35 milioni. «Un andamento insufficiente visto l’indebolimento dei conti, il deterioramento degli indici di ascolto e l’incapacità di contrastare l’arrivo sul mercato della raccolta pubblicitaria di Sky». Un’assoluzione parziale arriva, invece, per Claudio Cappon. «Non credo che il direttore generale sia colpevole delle disfunzioni che si stanno verificando, anche se nessuno è perfetto».
Sulla volontà di rimuovere Angelo Maria Petroni il ministro non mostra ripensamenti. «La revoca era l’unica decisione possibile. Così come autonomamente il fiduciario è stato nominato, altrettanto autonomamente può essere revocato». Ma questo è soltanto un primo passo, dice Padoa-Schioppa, in attesa di quella riforma della Rai per lui ineludibile. «La Rai, infatti, è un centauro: parte spa, parte pubblica». Il ministro annuncia anche che non avvierà un’azione di responsabilità nei confronti dei consiglieri d’amministrazione che votarono la nomina di Alfredo Meocci a direttore generale.
E proprio su questa vicenda parte un duro attacco da parte del consigliere in quota Udc, Marco Staderini, per il quale sul caso Meocci ci sono state «falsità nelle dichiarazioni di consiglieri, di grand-commis di Stato, di dirigenti del Tesoro e dell’ex ministro Siniscalco».
La matassa Rai, insomma, resta intricatissima, con lo stesso Padoa-Schioppa che ammette che i contorni della legge sono in larga parte oscuri. Una nebbia giuridica che il presidente della Vigilanza, Mario Landolfi, vorrebbe scacciare chiedendo alla Corte costituzionale di esprimersi sul conflitto di attribuzione che sembra profilarsi. A suo dire, infatti, la commissione da lui presieduta ha il potere di bloccare la revoca di Petroni. Convinzione rigettata, invece, dal ministero. Sullo sfondo si muove la politica, con Clemente Mastella sempre più deciso a fare sentire la propria voce dissonante dal resto della coalizione. Il leader dell’Udeur, senza mezzi termini, chiede a tutto il cda di dimettersi o, in alternativa, a Claudio Petruccioli di lasciare il consiglio «perché il presidente della Rai spetta all’opposizione».
Ma se Gianfranco Rotondi propone «una mediazione che porti Giuliano Urbani alla presidenza della Rai», Petruccioli rispedisce al mittente ogni ipotesi di dimissioni. «Non credo - dice - che io debba dimettermi da presidente, avendo assunto un impegno con l’azienda».- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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