Cultura e Spettacoli

RICCARDO MUTI «Il mio Flauto con i Wiener sospeso tra fiaba e gioco»

Sabato il maestro dirigerà l’opera a Salisburgo: «Sento Mozart più familiare. La regia di Vick? Moderna ma rispettosa»

RICCARDO MUTI «Il mio Flauto con i Wiener sospeso tra fiaba e gioco»

Alberto Cantù

da Salisburgo

Trentacinque anni di Festival e altrettanti di collaborazione stretta fra Riccardo Muti e i Wiener Philharmoniker con una sintonia ideale. «Credo sia un gesto simbolico di riconoscimento il fatto che i Filarmonici mi abbiano affidato il concerto al Grosses Festspielhaus del 27 gennaio 2006, giorno in cui ricorre il 250° anniversario della nascita di Mozart. Sarà una «maratona Mozart» e verrà trasmessa in mondovisione: sinfonie, concerti, arie, musica sacra con artisti come Kremer e Bashmet (la Sinfonia concertante per violino e viola), la pianista Uchida, le voci della Fleming e di Hampson oltre al coro della Staatsoper».
Anche l’estate salisburghese di Muti è anzitutto nel segno di Mozart: un ritorno al Flauto magico (dal 30 con otto repliche sino a fine agosto) già proposto alla Scala, il Sant’Ambrogio del ’95, con la regia di Roberto De Simone, e ripreso qualche anno dopo. Questo di Salisburgo è un nuovo allestimento firmato Graham Vick e con un cast di assoluta eccellenza, inclusi due soprani, Genia Kühmeier (Pamina) e Anna-Kristiina Kaappola (Regina della Notte) che brillarono nell’Europa riconosciuta della Scala tornata a nuova vita.
Come affronta, oggi, Riccardo Muti il «Flauto magico» e che cosa è cambiato nell’interpretazione rispetto a ieri?
«Esattamente non so, perché il processo di sedimentazione è inconsapevole. Certo, l’avere frequentato in modo continuo, in questi dieci anni, il mondo teatrale e sinfonico di Mozart, dei predecessori e dei successori, mi ha portato a un secondo o terzo approccio, non voglio dire più consapevole ma certo più familiare e, di conseguenza, presumo più naturale: una naturalezza cui contribuisce la presenza dei Wiener».
Il «Flauto magico» corre su un doppio binario: fiaba e parabola, aspetto comico-popolare e carattere solenne, iniziatico. Come si rapporta a essi un interprete?
«Chi dirige deve trovare un equilibrio, quello che fa la grandezza di Mozart, tra fiaba, gioco, rituale e simboli. Rispetto a quello registico, il discorso del direttore è più diretto perché i personaggi del Flauto magico possono vivere di sola musica. L’unico personaggio drammaticamente e umanamente vivo e vero è quello di Pamina. Il sacerdotale Sarastro è solenne musicalmente ma non quanto a psicologia. Anche Tamino non ha spessore drammatico. Papageno invece esprime la forza della natura: intelligente, furbo, naturale (dice “io sono un uomo della natura”). Brio, spontaneità, ingenuità che non è farsesca sono le caratteristiche che la musica evidenzia in modo totale: e basta un’aria, l’unica a definirli».
E la regia di Vick?
«Le regie, soprattutto nei festival, tentano strade nuove “non convenzionali” che si discostano dal dettato del librettista. Se sono intelligenti e non vanno contro la musica sono benvenute e aiutano il pubblico di oggi a entrare in opere che visivamente non siano da museo. Direi, ma lo valuteranno gli spettatori, che Vick, pur nella sua modernità, mantiene il carattere di fiaba e magia da una parte e quello di pensiero dall’altra».
Dopo il Flauto Muti dirigerà al Festival tre concerti con i Wiener, in agosto, che segnano già il tutto esaurito. Molto attese a Vienna per dicembre sono inoltre le sue Nozze di Figaro alla Staatsoper. In ottobre, conclusa una tournée europea con la Philarmonia di Londra e prima di concerti a Parigi con l’Orchestra Nazionale e a Firenze per il «Maggio», il maestro italiano e i Wiener partiranno per il Giappone e nel febbraio dell’anno venturo saranno per venti giorni a New York («Settimana Mozart» al Carnegie Hall), in Canada e in Messico.
In Austria Muti ha il suo buen retiro ad Anif, poco distante da Salisburgo: un luogo incantato tra montagne fiabesche o cupe e immote distese di verde. È una villa, sorta da un campo di mais, a trecento metri da quella in cui abitò Herbert von Karajan e a dieci minuti di strada dal piccolo e immacolato cimitero dove riposano le spoglie del maestro austriaco. Attorniato da case, aperto giorno e notte, questo cimiterino sembra piuttosto un giardino botanico tra fiori coltivati ad arte e piante ornamentali bellissime.
Fa eccezione la tomba di Karajan, spoglia sino allo squallore, con le composizioni rinsecchite deposte per conto di un festival, di una casa discografica e di un tenore che ben poco lavorò con Karajan, il cui nome, oltretutto, è coperto e sopraffatto dalle erbacce.

L’ingratitudine, l’incuria dei posteri non risparmiano evidentemente nemmeno la memoria dei sommi.

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