Gian Micalessin
Il dossier nucleare iraniano da ieri è già a New York, pronto a venir esaminato e dibattuto al Consiglio di Sicurezza. E nelle sale del Palazzo di Vetro gli ambasciatori di Mosca, Washington, Pechino, Londra e Parigi, i cinque grandi padroni del diritto di veto, cercano nell’incontro preliminare di oggi un difficile accordo sulla pena da comminare all’Iran. Il padrone di casa, il segretario dell’Onu Kofi Annan, invita tutti a continuare la trattativa. Russia e Cina, chiaramente contrarie a sanzioni, minacciano di chiudere la riunione del Consiglio prevista per la settimana prossima posando sul tavolo la carta del veto.
Washington, invece, punta addirittura a una risoluzione da “capitolo sette” ovvero, nel codice Onu, a sanzioni comminate sotto la minaccia di intervento militare in caso d’inadempimento. Qualcosa di simile insomma a quanto venne deciso nel caso iracheno. Una presa di posizione che - qualora sottoscritta dal Consiglio di Sicurezza - aprirebbe la strada a un attacco alla Repubblica islamica. La nostra Farnesina, osservatrice in ambito europeo della disputa nucleare, sembra per ora adeguarsi alle raccomandazioni di Annan, ricordando che il rinvio dell’Iran al Consiglio di Sicurezza «non rappresenta la fine degli sforzi diplomatici, ma piuttosto il passaggio a una fase nuova per la ricerca di una soluzione politica».
Qualunque sia la decisione del Consiglio di Sicurezza, la questione nucleare iraniana non sembra però destinata a esaurirsi. Lo scontro sul nucleare ha rinfocolato la lotta quasi trentennale tra il “Grande Satana” e l’ “entità del Male”. Ha accentuato le contrapposizioni su quello scenario iracheno e medio-orientale, dove entrambi puntano a un ruolo da demiurgo. Lo fa capire da Washington il segretario di Stato, Condoleezza Rice, che definisce l’Iran il più pericoloso nemico degli Stati Uniti e il principale avversario dei piani americani in Medio Oriente.
«Nessun Paese rappresenta per noi una sfida più seria dell’Iran, le sue politiche puntano a un disegno medio-orientale completamente opposto a quello che noi vorremmo realizzare», ammette la Rice nel corso di un’audizione al Congresso. Un avversario destinato a diventare cento volte più temibile - ricorda il Segretario di Stato - se riuscirà a sviluppare i suoi piani nucleari. E il segretario alla Difesa Donald Rumsfeld, dopo aver denunciato due giorni fa la possibilità di «pericolose e dannose infiltrazioni iraniane» in Irak, non ha esitato ieri a ipotizzare uno scontro imminente ricordando che, in caso d’attacco, «le forze statunitensi in Irak risponderanno con misure appropriate».
Sul versante opposto i vertici iraniani sembrano concordi nell’interpretare la sfida nucleare come un altro capitolo della lotta a un “Grande Satana” sempre alla ricerca di nuove scuse per attaccare la Repubblica islamica. «Questa volta gli Stati Uniti utilizzano il pretesto del nucleare, ma se ci ritiriamo la cosa non finirà lì, tireranno subito fuori un’altra scusa per attaccarci, per questo – tuona la suprema guida Alì Khamenei, massima autorità politica e spirituale del Paese - bisogna preseguire nella corsa alle tecnologie avanzate, energia nucleare compresa, e resistere a ogni cospirazione».
Dalle provincia del Loristan lo segue il presidente Mahmoud Ahmadinejad invitando a resistere alle «ingiuste accuse» e giurando che - comunque vada - alla fine sarà l’Occidente a soffrire di più.
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