Roma

«Ricerche fatte male», scontro in aula

Processo di Gradoli, scontro duro in aula tra pubblica accusa e difesa. Prima sul modus operandi degli inquirenti nel corso delle indagini, poi sul giudizio espresso dal pm Renzo Petroselli su Paolo Esposito: «Siamo davanti a una devianza sessuale». Udienza fiume per il duplice delitto delle Cannicelle, ovvero per la misteriosa scomparsa di Tatiana Ceoban, 36 anni, e di sua figlia Elena, 13 anni, oltre un anno fa. A sfilare davanti al presidente della Corte d’Assise Maurizio Pacioni, al giudice Eugenio Turco e ai giurati popolari, i primi testimoni di una lunga serie, oltre 60 persone chiamate a comparire dal pm, dal difensore di Elena Nekifor, madre della moldava, dalla difesa sia di Esposito che di Ala Ceoban, sorella di Tania nonché amante di Paolo, infine dalla parte civile, l’avvocato della piccola Erika, Claudia Polacchi.
Si comincia col comandante dei carabinieri di Gradoli, il luogotenente Agostino Marigliano. «Paolo è venuto in caserma, abbiamo parlato della sparizione di Tania e di Elena, poi siamo andati a casa per vedere se mancava qualcosa». Il graduato entra nella villa degli orrori a 3 giorni dalla presunta mattanza. E nell’abitazione trova ordine, tranne che per il letto matrimoniale e per quello della ragazzina. Circostanza strana, ribadita anche dal collega, il secondo teste, maresciallo Ulderico Venanzoni, in riferimento al sopralluogo dell’11 giugno 2009, quando viene sequestrato l’immobile. «Sembrava come se non ci abitasse nessuno da settimane» dice. In quest’occasione i militari, su ordine del capitano Ciervo, eseguono anche i primi «Combor Test», applicano in vari punti della casa degli indicatori di emoglobina. Insomma, sangue ma non solo. Comunque le 150 strisce positive sono sufficienti per chiamare il Ris. Una deposizione, quella di Venanzoni, più volte contestata dalla difesa, gli avvocati Enrico Valentini e Mario Rosati per Esposito, Pierfrancesco Bruno per la Ceoban. Soprattutto sulla visione dei «brogliacci», i registri di due autisti di furgoni che fanno la spola dal viterbese verso la Repubblica Moldava. «I nomi delle due scomparse non comparivano sugli elenchi di cose e persone in partenza dall’Italia» afferma. «Nemmeno quello di una certa Ciobanu Elena Vasile?» domanda l’avvocato Rosati. «No» risponde il carabiniere. Una differenza di appena due vocali oppure si tratta di altra persona? La difesa mostra 3 documenti scritti dall’ambasciata moldava e in tutti i nomi delle scomparse sono scritti diversamente da quanto appare sui passaporti: Cioban. È la pronuncia messa su carta o un errore di trascrizione? Per la difesa sembra chiaro che le donne non sono state cercate bene. Ma è l’accusa, durante l’audizione di Olga Tognarini, sorella di Elena Nekifor, zia di Tania, a chiarire la questione. «Il nome esatto in Moldavia è Ceoban, Cioban o Ciobanu sono altri cognomi». Dunque nessun pacco spedito a luglio dalla 13enne, nessuna prova che era ancora viva. Ma su questo passaggio la difesa insiste e il maresciallo spiega che i due autisti, viste le foto, non le hanno riconosciute fra i passeggeri. È l’avvocato Luigi Sini, a questo punto, a chiedere di ascoltare anche i due testi, Mihai Giorban e Iurie Rotaru. Ultimi due a esser interrogati sono stati Olga e il marito, Roberto Tognarini.

E qui si sfiora la rissa quando si parla dei due cd porno: oltre agli amanti si vedono varie persone che fanno sesso in macchina.

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