Dopo lo strappo di giovedì al Senato, Lamberto Dini continua a stare al centro della scena, e a tenere appesi governo e maggioranza alle sue future decisioni.
Una cosa però la dice chiaramente: non ha intenzione di entrare in un governo Prodi «rimaneggiato». Affossando così, almeno per il momento, lipotesi su cui qualcuno, a cominciare da DAlema, ha lavorato negli scorsi giorni, fino a sondare esplicitamente gli alleati - soprattutto quelli della sinistra - sulla loro disponibilità ad un Prodi bis con lingresso ufficiale della nuova componente diniana.
«Non ho alcun interesse», liquida la faccenda Dini. Che indica uno sbocco completamente diverso, un governo istituzionale (magari guidato da Marini) che coinvolga le «grandi forze del paese» e tagli fuori le ali estreme, andando ad una riforma maggioritaria. E chiama in causa proprio DAlema, che ieri ha ammesso l«errore» commesso da Prodi allinizio della legislatura, quando rifiutò di vedere che i numeri elettorali richiedevano «una comune responsabilità di governo». Solo che DAlema oggi è sostenitore di unaltra via per le riforme: blindare Prodi e dialogare con quei pezzi di Cdl (Udc e Lega) interessati al sistema tedesco.
Ma la prima partita su cui si gioca la sopravvivenza di Prodi è quella del welfare.
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