«Per riconquistare i moderati il Pdl torni a fare Forza Italia»

«Per riconquistare i moderati il Pdl torni a fare Forza Italia»

Comunista da giovane, assessore nella prima giunta Albertini, oggi manager Fastweb. Sergio Scalpelli, dove va oggi il Pdl?
«Cominciamo a dire che quella giunta fu un capolavoro. Tutti i cantieri che si vedono oggi a Milano, nascono da lì. Leali con i partiti, ma autonomi nelle grandi decisioni».
Dicevamo del Pdl.
«Tra il 1997 e il 2010 era uso dire che a Milano il Pdl avrebbe potuto candidare anche lo chef di casa Berlusconi, il mitico Michele».
Non fa un regalo ad Albertini.
«A Milano c’era una fortissima prevalenza dell’opinione pubblica a favore del centrodestra. E del resto Gabriele nel ’97 era un perfetto sconosciuto».
Prima governava la sinistra.
«L’esperienza originaria di Forza Italia aveva saputo incarnare il sentimento profondo della borghesia: la riforma liberale».
C’era stata Tangentopoli.
«Da un lato un modo distorto per aggredire i partiti moderati, dall’altro la ribellione della società e dell’economia lombarda alla pervasività della politica».
Mica poco.
«La rivoluzione liberale, appunto. Quella promessa da Silvio Berlusconi e che a Milano si incarnò nelle esperienze di Gabriele Albertini e Roberto Formigoni».
Domenica il congresso Pdl.
«Sì ho seguito qualcosa. Ma il problema è proprio questo. Se io, non perché sia chissacchì, ma perché sono un buon lettore di giornali, ne so poco, significa che c’è qualcosa che non funziona».
Cosa non funziona?
«Uno stacco profondo tra partito e società che va ben al di là della sconfitta con Pisapia».
Lei ha vissuto un’altra Forza Italia?
«Ho tifato perché la politica potesse americanizzarsi e Fi diventasse un comitato elettorale. Ma non si sono mai occupati di articolare il partito, di dargli una dialettica democratica interna».
E ora che c’è da fare?
«Costruire la candidatura di Maurizo Lupi a sindaco. Ma già da oggi, non c’è tempo da perdere. Bisogna mettere in moto una squadra, il rapporto con la città va riannodato».
E poi?
«Mettere in gioco uno come Albertini, pensando già a quando l’anno prossimo Formigoni farà una scelta nazionale. E sarà ben difficile ricompattare l’alleanza con la Lega».
Perché Albertini?
«È un signore che gode anche di forte simpatia nella Lega, nell’elettorato di centro e nel Terzo Polo».
Vuol dire che il Pdl si salva solo con progetti di lungo respiro?
«Col coraggio di costruire operazioni politiche e strategiche di rottura, discontinuità. Solo così torneranno gli elettori moderati».
Milano può tornare a essere il laboratorio del centrodestra?
«Certo. Pensando alla scena politica del dopo Monti e incarnando l’area liberal-popolare che spinge per una prevalenza dell’individuo, della società sullo Stato».
È questo il ruolo del Pdl.
«Il Pdl questo deve fare. Ma se si ripiega su se stesso e avvizzisce come negli ultimi 4 anni, sarà marginalizzato».
E Milano?
«Proprio Milano per la sua vocazione rappresenta questa autonomia della società dalla politica. Qui si gioca esattamente la stessa partita del ’94».
A Milano è tornata la sinistra.
«Il Pd ha il problema opposto: governa Milano, ma sconta la subalternità a Pisapia. Perché non pensavano di vincere. Stefano Boeri dovrebbe fare il Renzi e alzare il tiro. Ha contrastato Pisapia, ma si è isolato nel Pd».
Tornando al Pdl?
«Serve una limpida dialettica interna fatta sulle idee e non queste battagliucce sulle poltrone».
La classe dirigente?
«Ci sono persone di grande qualità come Angelino Alfano, ma anche un problema di selezione dei vertici. E questo porta al disastro».
Giuliano Pisapia?
«È un buon sindaco, capace di parlare a un pezzo di città molto più largo di quello che lo ha eletto. Per ora merita 7».
L’ex premier Berlusconi?
«Ha fatto un’uscita di scena dignitosissima ed è in una fase di passaggio. Credo dica la verità quando dice che non vuole più avere un ruolo di primo piano al governo».


Non uscirà di scena?
«Voglio vedere come deciderà di accompagnare il ricambio necessario al suo partito. Un partito che non è in condizione di stare senza di lui».
Lei ha detto che Berlusconi lascia spazio al servilismo.
«Talvolta a livelli caricaturali».

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