Il ricordo Addio al genio buono che inventò la cultura del benessere

Ha voluto molto bene, Christina Newburgh, nella sua vita avventurosa. Si è spenta ieri a 83 anni in Napoli, le sue ceneri verranno sparse in mare e un pugno di esse sarà deposto a Capri accanto al marito. Vittorio Feltri la definì «genio benefico». È stata un’amica senza incertezze delle battaglie da lui condotte prima a Libero e ora al Giornale.
Questa donna ha avuto un destino straordinario, il suo dono è stato di saperlo comunicare agli altri, trasfondendo in chiunque incontrava ogni sua stilla di energia buona. Ebrea, nata in Ungheria, ha dovuto lottare contro i nazisti sfuggendo con i suoi capelli biondo grano alla loro tenaglia. Poi si è battuta contro i comunisti. Ha portato tutta la vita nel suo animo le stimmate di questa lotta. Era votata alla difesa di Israele, in Italia erano suoi ospiti presidenti e ministri di Gerusalemme. Ingegnosissima, ha inventato lei - anche se le enciclopedie non lo scrivono - il beauty case nella Budapest del primo dopoguerra. Lo produceva in una fabbrica clandestina. È stata la donna più bella dell’Est Europa, emigrando in Italia incontrò un ebreo lettone, Steven, anch’esso geniale, di cui ha preso il nome e se l’è tenuto stretto.
Il marito piantava pali negli oceani, lei lo seguiva. Poi tornavano a Napoli. In Messico lei ha cominciato a intraprendere la sua missione particolare: dare bellezza e pace a uomini e donne. È stata la precorritrice dei «centri benessere» la cui arte ella apprese nei primi anni ’60 in Messico. Fu la prima a concedersi un lifting, a ottant’anni - giovanissima - girava in jeans nella sua mitica Spa’Deus a Chianciano, dove si sono ritemprati a migliaia.
Procurava i migliori cuochi capaci di far dimagrire, i più bravi pianisti e massaggiatori e preparatori atletici, ma anche filosofi. Tutto purché noi si riflettesse sul senso della vita senza macerazioni ma nella ricerca della bellezza. Per certi versi, a Chianciano, aveva ricreato senza cupezze il clima di conversazione e di profondità depositato nelle pagine della «Montagna incantata» di Thomas Mann. Là c’era un albergo sanatorio, qui un hotel risanatore, ma c’era molto in comune nell’atmosfera di riposo, di dialogo e di belle signore. L’elenco degli ospiti dice molto ma non tutto: Tara, la nipote di Gandhi; Eli Wiesel e Rita Levi Montalcini, premi Nobel; Carlo d’Inghilterra; la famiglia Rabin al completo; Cristina e Riccardo Muti; Barbra Streisand; Franco Zeffirelli; Carla Fracci; Ray Charles; gli astronauti che andarono sulla Luna. Poi c’erano le ragazze e i ragazzi senza titoli o status: i «grassoni». Gli ultimi anni aveva affinato infatti una nuova missione, in cui aveva versato generosamente molte risorse: la cura dei ragazzi obesi, che spesso gratuitamente ospitava e faceva rifiorire con un suo metodo. Lei diceva così, per spiegarlo agli scettici: «Lei sa cos’è l’amore?».
Poi, improvvisa la malattia, che l’ha ricondotta a Napoli, assistita amorevolmente dal figlio ingegner Peter, dalla sua sposa Lucy e dalla nipote Christina come lei. Chi l’ha conosciuta se la ricorderà sempre, ma anche di più: si aspetta si dia da fare ancora e ci tiri su.

Lei era così: si rendeva presente offrendo appoggio nei momenti bui, quando percepiva una difficoltà nel prossimo. Feltri ha scritto di lei e della sua opera: «Tutto questo è frutto di una missione angelica, anche se sto parlando di una donna: odo lo sbattere delle ali quando la sento al telefono».

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