Il ricordo dei «Blues Brothers» al Ciak dopo venticinque anni

Igor Principe

Sei anni fa, qualche produttore americano si era convinto che il mito dei Blues Brothers fosse appannato e che bisognasse far qualcosa per ravvivarlo. Doveva essere persuasivo, perché convinse Dan Aykroyd - l'altra metà del formidabile duo, accanto a John Belushi - a girare il seguito di una delle commedie più amate dal pubblico di tutto il mondo: The Blues Brothers, appunto.
La seconda puntata aggiungeva al vecchio titolo soltanto 2000, ad indicare che non si poteva entrare nel nuovo millennio senza di loro, malgrado il povero John riposasse in pace da diciotto anni (è morto nel 1982). Fu l'unico, quel produttore, a pensarla così. Il sequel fu un flop clamoroso, e in molti rimpiansero di non essere stati a casa davanti alla videocassetta del primo film, firmato da John Landis nel 1980.
Perché ricordiamo tutto ciò? Per sottolineare che quanto andrà in scena al Teatro Ciak da stasera a domenica 26 non è un surrogato teatrale di quell'infausto seguito. Anzi, è un modo per capire davvero cosa sia stata quella storica band e quale splendida musica abbiano suonato a cavallo tra gli anni Settanta e Ottanta. Lo spettacolo si intitola The Official Tribute to... The Blues Brothers, e per la piazza milanese si tratta di un ritorno a distanza di tre stagioni.
«La cosa che più mi sorprende è la venerazione per il film», dice Brad Henshaw, protagonista nei panni di Joliet Jake Blues (il fratello interpretato da Belushi) accanto a David Stoller (Elwood, alias Dan Aykroyd).«Si tratta praticamente della fine della loro avventura - prosegue -: infatti, Belushi morirà di lì a poco. Ma c'è tutta una storia prima di quel momento fatta di concerti, dischi e apparizioni al Saturday Night Live Show, programma che li lanciò. La nostra idea, quindi, non è di scimmiottare il film ma raccontare cos'è stata la band ricostruendo una serata con la loro musica e i loro sketches».
Per farlo, è impossibile prescindere dal marchio di fabbrica della coppia: l'immagine. Vestito nero, Borsalino, cravatta nera, camicia bianca e Ray-Ban Wayfarer neri costituivano una divisa che, pur nella sua sobrietà, è diventata storia. Stoller e Henshaw la ripropongono insieme a una manciata di canzoni: Soul Man, Think, Gimme Some Lovin', Sweet Home Chicago, Minnie The Moocher e il loro successo maggiore, Everybody needs somebody.
Brani non originali, ma estratti dal nutrito baule del soul e del rhythm'n'blues; pure, eseguiti dalla Blues Brothers Band con una personalità tale da cancellare per essi l'immagine di cover (in gergo, un brano già edito riproposto da altri). Personalità che Henshaw - un passato da musicista negli UB40 e nei Fine Young Cannibals - ritrova nel personaggio che è chiamato a interpretare.
«Jake era davvero John Belushi - spiega -, così come Elwood era davvero Aykroyd. É un caso perfetto di due alter ego, attori per conto loro e musicisti insieme.

Quanto a Jake, il suo essere trasgressivo e sempre sopra le righe era una trasposizione del modo in cui stava al mondo Belushi: vivere la vita ai suoi limiti, in quello che possiamo chiamare "il lato sbagliato della legge"».
Quanto contano queste derive nella sua interpretazione? «Molto poco - conclude -. Per sentire le emozioni del blues e del soul non è necessario essere maledetti. Basta essere uomini».

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