«Per vendere il carburante a un prezzo inferiore di 5 e in alcuni casi 7 centesimi meno, che significa 100 o 140 delle vecchie lire, non saltiamo passaggi ma rinunciamo a parte del margine: 5 cent nel primo caso e 7 nel caso estremo, quando magari si deve avviare una nuova stazione di servizio». Il gruppo Fassina non è soltanto un network di concessionari di automobili che opera nel Nord-Est, con attività anche nel settore immobiliare e nella finanza (detiene l1,4% di Gemina). Da tre anni il presidente ed ex campione di rally Tony Fassina e uno dei suoi figli, Alessandro, ha voluto entrare nel business delle «pompe bianche» creando la società Petrol Service partecipata per il 50% da Egidio Colla, imprenditore immobiliare di Montebelluna (Treviso).
In questi tre anni, la Petrol Service ha impiantato nel Veneto e nel Ferrarese una trentina di stazioni di servizio sotto il marchio H6, creandone ex novo e rilevandone in parte da Shell.
Signor Fassina, per essere «low cost» bisogna prestare attenzione al portafoglio.
«Diciamo che siamo più flessibili e abbiamo meno spese generali. Avere una grossa rete vuol dire pagare un responsabile, un quadro, un direttore e un manager che si occupi di pubblicità. Le nostre spese fisse sono più basse grazie a una gestione artigianale dellazienda».
Che cosa suggerisce al governo, impegnato a studiare una riforma del settore?
«Credo che non sia possibile toccare il passaggio dal fornitore al consumatore. Importante, invece, è agire a monte della catena, facendo emergere per poi eliminare tutte le speculazioni, per esempio nella raffinazione o al momento dellimportazione del greggio».
Facciamo un po di conti.
«Chi vende 2 milioni di litri di carburante, come uno dei nostri distributori, lavora 12-13 ore al giorno per un margine lordo annuo di 70mila euro. Il prezzo di 1,35 euro è attualmente il minimo che riusciamo a proporre. Per tutte le società il margine che resta, nel passaggio fornitore-consumatore, è di 135 cent. Pagando la benzina 1,28 euro, rispetto alla vendita al dettaglio a 1,42 euro al litro, il gestore medio, quello da 2 milioni di litri, fa suoi 0,035 euro della differenza. Il resto serve a pagare la gestione dellimpianto e i vari oneri».
Quali sono i vostri obiettivi?
«Per raggiungere i 30 impianti con marchio H6 dobbiamo ancora assorbire alcune stazioni Shell. Lobiettivo è arrivare a un centinaio di distributori».
I costi da affrontare sono pesanti?
«Un impianto costa tra 1 e 1,2 milioni di euro, compresa larea lavaggio, il bar, il chiosco e leventuale pizzeria. Ma cè un problema».
Quale?
«Laccesso al credito, in generale, non è facile. Di solito il privato ci mette il 20% del capitale e il partner finanziario l80%. Noi abbiamo dovuto aumentare la nostra quota fino al 50%. Le banche sono disorientate, anche se il mio gruppo non ha avuto problemi in merito».
Il cliente si fida di un marchio sconosciuto?
«I nostri clienti sono soprattutto habitué; molti i pendolari, ben contenti magari di fare rifornimento qualche chilometro più in là per risparmiare».
Ancora qualche numero.
«La società chiude con ricavi per 50-60 milioni, con un margine di 50mila euro su ogni impianto. Ogni gestore per aumentare il margine deve puntare sul non oil, cioè lavaggio, vendita di accessori, bar, eccetera».
Boicottaggi da parte della concorrenza di marca?
«Non ne ho notizia da mio figlio, che si occupa direttamente di Petrol Service».
Accordi con le catene della grande distribuzione?
«Non possiamo vendere il carburante a chi, fatturando ogni anno 100-200 milioni di litri, ottiene dal fornitore un prezzo inferiore al nostro».
Ha pensato al metano e alle colonnine di ricarica per le auto elettriche?
«Già offriamo il Gpl. Il metano è nei nostri piani. Per lelettrico guardo soprattutto alla possibilità del cambio volante della batteria».
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