Riecco Pietro da Cortona: e al Quirinale torna a splendere la Galleria Chigi

Restauri quasi finiti per il capolavoro del seicento, voluto da papa Alessandro VII e distrutto dai francesi nel 1812 per trasformarlo nell'appartamento della moglie di Napoleone: Maria Luisa però non ci dormì mai

Un trono per l'imperatore, un'adeguata camera da letto per la consorte. Ma se Napoleone non raggiunse mai Roma, sua moglie Maria Luisa non dormì mai in quella stanza. Eppure, per ospitare degnamente la sovrana lassù al Quirinale, l'architetto Raffaele Stern non aveva esitato a sventrare e dividere in tre uno dei capolavori del nostro seicento: la Galleria di papa Alessandro VII Chigi, 74 metri di lunghezza, ideata tra il 1655 e il 1656 da Domenico Fontana e decorata da Pietro da Cortona, arricchita con parati e arredi, presa a modello anche per Versailles.
Adesso la rivincita. Ad agosto, dopo dieci anni di restauri, la galleria sarà restituita alla sua antica bellezza. Tutto cominciò nel 2001: c'erano dei piccoli lavori da fare, si scrostò un pezzo di intonaco e si scoprì che sotto c'erano degli affreschi: quelli di Pietro da Cortina, appunto. Sondaggi, cantieri, perizie, fino alla decisione di riunire i tre ambienti creati dai francesi, la Sala Gialla, quella di Augusto e quella degli Ambasciatori. La conclusione è stata resa possibile grazie al finanziamento di 500 mila euro dalla Fondazione Bracco, che hanno integrato i due milioni stanziati dalla Soprintendenza al polo museale romano. É il primo esempio di collaborazione tra pubblico e privato sul Colle.
Quando fu concepita da Domenico Fontana, con quella sua fuga prospettica di oltre settanta metri, era davvero una galleria record: nessuna, nella storia dell'architettura, aveva mai avuto queste dimensioni. «Fu il papa Chigi ad incaricare Pietro da Cortona di decorarla con le storie del Vecchio Testamento, proprio mentre a Roma infuriava la peste - racconta la soprintendente Rossella Vodret - . Chiusi al Quirinale per completare l'incarico, si salvarono dal contagio». Il maestro barocco immaginò finte architetture di colonne binate alte nove metri, aperte sulla natura, alternate a sculture dipinte a monocromo, che incastonavano le scene sacre. Le manomissioni sono state implacabili. Su ordine di Napoleone, nel 1811 Stern murò tredici finestre e alzò due tramezzi che spezzarono la lunga galleria in tre sale.
Dopo la meteora napoleonica, infierirono anche le ridipinture volute prima dai papi, poi dai Savoia. «La cosa singolare è che il restauro è iniziato perché le sale del Quirinale dovevano essere adeguate con impianti a norma secondo la legge 626 - racconta Vodret - . Rimuovendo parti di tappezzeria, emersero dettagli di pitture originarie». Le finestre sono state riaperte, restituendo gli scorci dipinti e il cotto del pavimento. Sulle pareti corte spiccano entro tondi monocromi due imprese di papa Chigi, porta di piazza del Popolo con la chiesa di Santa Maria de Popolo, e Santa Maria della Pace con cui Pietro da Cortona cita se stesso. Ma soprattutto sono state recuperate le finte architetture e i monocromi di Pietro da Cortona miracolosamente intatti sotto strati di scialbo, ma solo per mezza parete. Le colonne sono infatti al centro di una discussione critica. Dice la Vodret: «Abbiamo ottenuto il consenso a ripristinarle per intero solo nella sala Gialla, dove le parti ridipinte risultano scadenti. Più cauta è la scelta nelle altre due sale, dove le decorazioni appaiono di qualità». Quanto ai tramezzi, non è prevista la rimozione perché servono prove statiche.

Alcuni monocromi, poi, sono talmente belli da far riconsiderare la mano di Pietro da Cortona. E non finisce qui. «Tra breve - annuncia Louis Godart, consigliere culturale del presidente - partirà anche il restauro del cosiddetto Passaggetto di Urbano VIII».

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