da Napoli
È una storia che puzza, se non altro perché tratta di immondizia. E in questa brutta storia giudiziaria legata alla gestione dei rifiuti in Campania un ruolo determinate sembra averlo svolto anche Antonio Bassolino, ex sindaco di Napoli, presidente della Regione Campania. Le ipotesi di reato a carico del governatore vanno dall'abuso d'ufficio alla frode in forniture pubbliche, dalla truffa aggravata alle violazioni ambientali rispetto a quanto previsto dalle ferree norme del decreto legislativo 152 del 2006. L'inadempimento ai contratti di pubblica fornitura e falsi in atto pubblico sarebbero stati invece contestati ad altri personaggi coinvolti negli accertamenti dellautorità giudiziaria campana.
All'esponente dei Ds la procura di Napoli ha notificato ieri mattina l'avviso di conclusione delle indagini preliminari nell'ambito di un procedimento penale avviato nel 2003 in merito alla gestione dei rifiuti in Campania da parte del Commissariato straordinario di governo (Bassolino diede le dimissioni nel 2004) sugli appalti e i contratti di fornitura con gli enti Fibe e Fisia (al tempo dell'Impregilo). Questo è lultimo atto prima delleventuale richiesta di rinvio a giudizio da parte dei pm.
Nella complessa inchiesta diretta dai pubblici ministeri della sezione ambientale della procura, Giuseppe Novello e Paolo Sirleo, vi sono altri 27 indagati. Fra questi nomi eccellenti come quelli dei fratelli Romiti (allepoca azionisti di riferimento dellImpregilo collegata alla Fibe), l'ex numero due al commissariato, Raffaele Vanoli, l'ex subcommissario Giulio Facchi, e alcuni cosiddetti «tecnici» ancora in servizio presso la struttura governativa: Giuseppe Sorace e Claudio De Biasio, oltre agli amministratori delegati di Fibe, Armando Cattaneo e Fisia, Roberto Ferraris.
Al centro delle verifiche oltre alle ordinanze sottoscritte dallex commissario per l'emergenza-rifiuti vi sarebbe il contratto controfirmato da Bassolino con le società che avrebbero dovuto smaltire le tonnellate di immondizia che inondano quotidianamente la Campania. Stando all'accordo si doveva prevedeva la costituzione e realizzazione, al massimo entro 365 giorni, di alcuni impianti per la produzione del combustibile da rifiuto (che in gergo si chiamano CDR) e di due inceneritori entro l'anno successivo. L'accordo non ammetteva deroghe. In caso di inadempienza il contratto sarebbe stato annullato e la cauzione da 200 miliardi di vecchie lire sarebbe stata considerata irrimediabilmente persa. Seguendo il filo dell'inchiesta si evince che la ditta appaltatrice Fisia Italimpianti (che passò i lavori alla Fibe, sua consorziata) aveva il compito di smaltire a proprie spese i rifiuti non bruciabili e quelli da CDR indipendentemente dal fatto che gli inceneritori fossero entrati in funzione. E ancora. Le stesse ditte avrebbero dovuto assicurare la costituzione di alcuni depositi nella disponibilità della Fisia-Fibe nei quali provvedere allo stoccaggio le cosiddette «ecoballe» ancor prima del loro trasporto e della vendita.
Ripercorrendo a ritroso la «vita» e la «morte» dei rifiuti, la magistratura aveva scoperto che gli impianti per i CDR (poi sequestrati) erano stati effettivamente messi in opera ma il combustibile prodotto non era mai stato venduto, col risultato di far proliferare un numero impressionante di materiale che avrebbe potuto, e dovuto, portare nelle casse parecchio denaro.
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