Milano - Titolo: «Un altro rospo da ingoiare». Sommario: «Rifondazione nella palude della crisi». L’autore? Be’, è l’Ernesto. Che non è un compagno solitario bensì, al secolo, la minoranza della minoranza del Prc. Quelli, tanto per intenderci, che non hanno dubbi sulla «crisi del gruppo dirigente di Rifondazione» accusato on line (e pure nella mailing list) di continuare «a raccontare belle favolette» quando, «con la nascita del governo Prodi e l’entrata del Prc nell’esecutivo, si vive nel peggiore degli incubi».
Loro sparano a palle incatenate non tanto su Prodi, naturalmente, quanto sul partito «piegato a Romano» offrendo «schiaffi plateali ai movimenti e alle lotte in cui il nostro partito è stato per anni coinvolto». Anche loro, come i compagni di Rosso di sera sostengono che «pazienza ha un limite». «Lo scalone ha salvato Prodi», commenta Alessandro Cardulli che sa di giocare col paradosso ma sa pure che «il “vincolo sociale”» usato da Franco Giordano «è proprio il superamento dello scalone, essendo gli scalini un male minore». E vai con «tutti i nodi arrivati al pettine», con «la fondamentale lotta al precariato che ha subito un contraccolpo» e, last but not least, con «appunto, la pazienza ha un limite».
Chiaro a tutti dove e come indirizzare le proteste. Quelle che sommergono Liberazione, il quotidiano del partito, che ieri pubblica venti versi di Mahmud Darwish: «Ogni volta che ho cercato me stesso ho trovato gli altri / Ogni volta che li ho cercati, in loro non ho trovato che me stesso straniero / Che io sia il singolo moltitudine? E sono lo straniero». Non è impresa impossibile rileggere quei versi alla luce di quanto accaduto, della sconfitta della sinistra radicale sul welfare: il voto pro welfare made in Lamberto Dini.
Una cosa «gravissima». Di più, «la Caporetto del Prc». «Approvare un protocollo sul welfare peggiorato rispetto a quello di luglio (fra le altre cose, basta citare la reintroduzione del job on call senza neppure uno degli aspetti migliorativi sostenuti dal Prc... ) e dare fiducia a un governo composto in prevalenza da sudditi fedeli di Confindustria che non mantengono i patti e tendono a marginalizzare le forze della sinistra, significa distruggere i rapporti con il nostro elettorato di riferimento». Sì, avete letto bene, per quelli che non ci stanno più, «si distruggono i rapporti con il nostro elettorato di riferimento, innanzitutto con i lavoratori e i giovani, facendo crescere la guerra tra poveri, il razzismo e la xenofobia».
Esagerazione? No, la richiesta «con urgenza» del congresso nazionale del Prc a cui «il gruppo dirigente deve rispondere». Ultimatum via web dei giovani comunisti rabbiosi e impotenti e, perché no, pure convinti che «più a ragione che a torto, che Fausto non farà cadere il governo Prodi». Già, osserva un compagno, «quando mai Bertinotti potrebbe tornare a fare il presidente della Camera?».
Domandine che calano sulla Caporetto di Rifondazione, di quelli che sono all’angolo e che non ci stanno a essere dei «signor sì» e a continuare a «ingoiare rospi», mentre sparisce anche la falcemartello, simbolo che fu di Lenin e di una rivoluzione d’ottobre fatta da operai, perché lo vuole il marketing e nelle fabbriche non ci sono più tute blu. Rottamazione che fa tanto male agli ortodossi comunisti, mentre la «cosa rossa» si agita e il Brigante rosso (sito web, dove va di moda il vintage) davanti al fallimento «totale della linea governista che la maggioranza di Rifondazione ha adottato sin dallo scorso Congresso di Venezia» suggerisce ai pasdaran di «vedere gratuitamente Lazio-Olympiacos su Sopcast e Tvanst».
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