Il rigore di Carpaccio apre la "Visione di Sant'Agostino" a ciò che non si vede

L'apparizione di San Gerolamo diventa un'allusione al "mistero delle cose al di là"

Il rigore di Carpaccio apre la "Visione di Sant'Agostino"  a ciò che non si vede

La Visione di Sant'Agostino è il vertice assoluto di Vittore Carpaccio.

La luce entra dalle finestre aperte sulla parete; è una luce dorata, uniforme, assoluta. Prima che far vedere le cose, è lei che si vede nel telero con il Sant'Agostino nello studio nella Scuola di San Giorgio degli Schiavoni. Carpaccio resta incantato e ci fa partecipare a un'emozione imprevista, a uno stupore dei sensi e dell'anima. Sant'Agostino è catapultato dal V al XV secolo, da Roma e Ippona a Venezia. Ed eccolo davanti a noi come un'apparizione perfettamente plausibile. Un'apparizione che guarda un'apparizione. Sant'Agostino infatti è sorpreso, mentre legge e scrive, dalla visione di San Gerolamo. Ma Carpaccio non ama gli artifici, le cose soprannaturali: non può e non vuole materializzare una visione, far comparire San Gerolamo dall'aldilà. Ce n'è abbastanza di artificio nel reale che si vede: lo stupore è nelle cose, l'aldilà è al di là della finestra. Agostino si ferma come chi ascolti un richiamo di qualcuno che ha appena bussato alle finestre. Nello studio di questo raffinato umanista, il pittore vuole essere rigoroso e impeccabile, non aggiungere né togliere niente, non trasformare, semplicemente guardare. Ciò che gli preme è non far dubitare per un attimo della realtà dell'avvenimento, collocandolo nella storia e nella vita contemporanea.

Questo santo è un umanista, un lettore appassionato di testi antichi e anche un raccoglitore di oggetti, soprattutto statue e bronzetti, vive e presenti memorie del mondo antico. Ma coltiva anche la scienza, studia l'astronomia: vediamo pendere sul suo tavolo la sfera armillare, strumento di misurazione dell'universo tolemaico. Ed è musico: come San Gerolamo sente un profondo accordo fra l'armonia del canto e la fede. Ha scritto o trascritto su un messale e su sparsi fogli di musica le note per tenore, per contralto e per basso, ad accompagnare epistole e vangeli, ma anche momenti di raggiunta distensione, di pura armonia interiore. I brani musicali che vediamo ai suoi piedi in tanta evidenza leggibili al punto da poter essere eseguiti, sono infatti uno di carattere sacro, l'altro di carattere profano.

Nella stanza del santo, Carpaccio sembra voler stringere un intero mondo, il cui simbolo è nei libri che sono ovunque: negli scaffali, sul leggio girevole il "lettorin", com'era chiamato a Venezia sul tavolo, accatastati, sparsi per terra, chiusi e aperti, luoghi immobili della scienza, templi del sapere.

L'artista analizza minutamente, descrive tutto, la sua mente è ordinatamente travolta dai particolari, e il piccolo cane, fermo, con la sua ombra triangolare, è importante per lui non meno del santo. La sua indifferenza sentimentale, il suo rifiuto di una gerarchia delle cose restano memorabili. Nella parete di fondo, sotto il mosaico absidale della cappellina, vediamo la statua del Redentore, che manda, come ogni altro oggetto, la sua nitidissima ombra: è un'opera moderna, identificabile con l'Antonio Lombardo del Poldi Pezzoli di Milano. Il santo sta a un tavolo a muro, corredato di uno sgabello, dal quale sembra lentamente sollevarsi per meglio guardare fuori dalla finestra. Tavolo e sgabello, rivestiti da una stoffa verde, posano su un basamento circolare, determinando un'isola sulla quale si affollano, in frenetico disordine, soprattutto libri e poi forbici, calamai, campanelli, clessidre, lettere, biglietti e perfino una conchiglia, ricordata negli inventari come "porcella da lissar", strumento di cancelleria per levigare le pergamene.

Tensione metafisica e assoluto realismo della visione si annidano nella sedia con inginocchiatoio, di legno foderato di panno rosso a borchie di ottone, poggiata contro la parete sinistra. È un mobile di straordinaria invenzione, e anche un involucro vuoto, un oggetto in attesa.

Ma Carpaccio non si contenta di vedere tutto, di procedere a un inventario di questa stanza delle meraviglie: vuole vedere anche quello che c'è oltre. Per questo sulla parete di fondo, in esplicito richiamo alle tarsie, contrappone alla porta di destra, alle spalle del santo, una porta aperta, oltre la quale vediamo un'altra finestra, un altro tavolo su cavalletti, con il leggio girevole, altri libri, calamai e targhe appese agli scaffali in alto: il piccolo spazio è illuminato da una forte luce, che si stampa sullo stipite della finestra. Lo stesso gioco di aperto e chiuso lo ritroviamo sotto l'altare, a forma di armadio, con uno sportello aperto che lascia vedere la navicella dell'incenso, le ampolline, i messali e il camice. Sull'altro sportello è posata una tenda verde, come un sipario, pronta a rivestire e a nascondere il mobile.

Queste idee prospettiche, derivate da Piero della Francesca, sono allusioni al mistero delle cose, continui rimandi a ciò che è nascosto, che è al di là, proprio come il motivo fondamentale della finestra oltre la quale appare la visione di San Gerolamo che non si rivela ai nostri occhi.

Nessuno, più di Carpaccio, in questo quadro, ha visto proprio nella luce il vero protagonista della sua pittura. Se osserviamo con attenzione, infatti, ciò che attribuisce al quadro e a tutti gli oggetti un'atmosfera di magia e una nitidezza senza paragone è proprio la luce, che pervade, con movimento alterno ma uniforme, la stanza. La grande idea di Carpaccio è aver fatto coincidere la luce della mente con la luce fisica, la folgorazione dell'apparizione con i raggi del sole. Unifica luce metafisica e luce fisica, naturale e soprannaturale. San Gerolamo è dentro la mente di Sant'Agostino, nella tensione del suo sguardo: lui è la luce del giorno, filtra attraverso la finestra senza abbagliare, si fonde con la luce dell'ora, rende tutto immobile ed eterno. Carpaccio dispone nello spazio, tra gli altri elementi, il cartiglio con la sua firma, sul quale leggiamo "victor carpatius fingebat".

"Fingebat" e non "pingebat": l'artista crea, inventa, finge.

Ciò che egli ci mostra prima non c'era, ciò che conoscevamo lo vediamo ora in una nuova luce. Per questo il Sant'Agostino di Carpaccio ci appare così indimenticabile. Mostrandoci infatti quello che c'è, ci rivela quello che non c'è. Al punto che la sua così certa esistenza mette in dubbio la nostra.

Commenti
Pubblica un commento
Non sono consentiti commenti che contengano termini violenti, discriminatori o che contravvengano alle elementari regole di netiquette. Qui le norme di comportamento per esteso.
Accedi
ilGiornale.it Logo Ricarica