Carissimo direttore,
il titolo in prima pagina della tua testata giornalistica mi ha turbato profondamente, conoscendo le tue radici cristiane, e mi riferisco esattamente alla vicenda dei clandestini «Finalmente a casa», questo il macro titolo massacrante in cui si sosteneva la scelta del governo italiano sul respingimento di questi barconi pieni di immigrati. Non voglio discutere sulle scelte del nostro governo ma della tua «scelta» di metterti non a difesa dei più deboli ma a sposare questa iniziativa iniqua contro gli ultimi degli ultimi. In nome della nostra conoscenza e lontana amicizia quando facevamo parte del gruppo giovani coppie nella parrocchia san Pier Giuliano Ejmard alla guida del nostro generoso parroco Padre Gianfranco, permettimi di esprimerti le mie perplessità su questa vicenda che si contrappone con i nostri principi di accoglienza e ospitalità nei confronti degli stranieri. Mi chiedo come possiamo in assoluto avvalorare le tesi che i clandestini devono essere rispediti nel proprio territorio di origine o di provenienza, senza valutare che non ci siano in questi barconi di poveri emarginati e ultimi fra gli ultimi, anche una sola donna incinta, anche un solo bambino, anche una sola persona con diritto ad asilo politico. Questa è la società che criminalizza tutti senza tenere in considerazione la dignità e il valore profondo della vita umana. Questo non è possibile, il cristiano non può tacere, abbiamo fatto delle scelte radicali e la nostra coscienza non può accettare queste scelte che oserei definire criminali. Con affetto e amicizia.
Caro Anacleto, mi fa piacere ritrovarti qui, sulle pagine del Giornale, anche se lo fai per tirarmi le orecchie. Siccome ti conosco dai tempi di padre Gianfranco, capisco la tua buona fede e lo spirito della tua reprimenda. Ma lascia dire che trovo un po eccessivo definire «criminale» quello che tutti gli Stati del mondo fanno abitualmente, cioè quello di far rispettare i propri confini. Come tu sai, conosco i doveri dellaccoglienza. Ma ognuno ha i suoi compiti: il compito dello Stato non è quello di mettere in pratica la carità cristiana. Il compito dello Stato è far rispettare le regole. E le regole prevedono che chi ha diritto dasilo non si imbarchi su un barcone gestito dai trafficanti di carne umana, in compagnia di irregolari, clandestini e criminali. Non può essere riconosciuto un diritto che si manifesta in questo modo. Apriamo dei centri in Libia, potenziamo il lavoro delle ambasciate, mobilitiamo Ue e Onu (anziché tenerle lì come carrozzoni inutili): ma spalancare le porte a tutti non è la soluzione del problema. La soluzione del problema, piuttosto, è il rispetto delle regole. Perché dal rispetto delle regole, caro Anacleto, dipende il benessere di tutti, compresi i più poveri, compresi i più deboli, compresi gli stessi stranieri, che troppo tempo il buonismo di facciata ha illuso, facendo finta di accoglierli per poi lasciarli marcire ai margini delle città, in condizioni disumane. Ma sì, fare un po di propaganda anti-governo nutrendola di buone intenzioni, in fondo, non costa nulla: tanto poi i soloni si rintanano nei salotti chic, nei loro eleganti loft, e lasciano i clandestini in balia della criminalità organizzata e gli italiani che vivono in periferia in balia della paura.
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