«Rinascita» Inter Mou e Leonardo inseguirsi a colpi d’empatia

È tornata l’Inter e non se n’è mai andato Mourinho. Forse questo è il segreto di una rinascita? E forse tornerà (vorrebbe tornare?) pure lui: gli indizi sono tanti. Quel «io sono interista», regalato il giorno della consegna del pallone d’oro, è andato ben oltre le sue classiche rappresentazioni di scena. Quando arrivò a Milano non si spinse mai a tanto nei confronti del Chelsea: parlava di amore-simpatia-riconoscenza per la squadra, i giocatori, l’ambiente e l’Inghilterra, diceva che a Londra si sentiva di casa. Ma non si spinse oltre, fino a dire: «Io dentro sono del Chelsea». Stavolta invece... L’altra sera sono stati trasmessi spezzoni di una intervista di Mou e lui di nuovo a parlare di empatia fra tecnico e spogliatoio, di empatia fra lui e Leo, esattamente come l’altro.
Empatia è il segno del comando e della fratellanza. Sempre un inseguirsi a colpi di empatia, un cordone ombelicale che Leonardo ha riavvolto traducendo l’empatia in complicità. L’ha detto uno, due, tre volte. Anche l’altra sera, appena rifilati i quattro gol al Bologna. Oppure il giorno della vigilia. «C’è complicità!». Ma cosa significa davvero? C’è complicità fra un uomo e una donna, fra marito e moglie, fra padre e figli (preferibilmente figlia), fra dirigente e segretaria, fra medico e paziente. Ogni volta che spunta il nome di Mou, Leo replica sviolinando, magari badando a non farsi prendere la mano ad evitare cattivi pensieri altrui. La strategia è stata suprema: Leonardo ha usato Mou per farsi accettare dall’Inter e per trovar la via (poi imboccata con questi 4 successi). Ma Mou si è fatto deliberatamente usare, lasciando che tutto corresse perchè gli altri lo capissero. «Perché Mou mi ha spiegato... Mou mi ha detto... A Mou devo molto... Mou è il migliore al mondo... Le sue parole mi rendono felice...». E l’altro: «Io e Leo ci conosciamo da tempo... Leo allena il club che occupa più posto nel mio cuore.... Voglio che l’Inter vinca sempre, vedrete che vincerà anche lo scudetto...». Manca che dica: ti amo amore mio! Oppure: «Gli faccio la formazione, parlo con i giocatori per caricarli nel pre partita, guardate che fra poco torno, comportatevi bene...». E tutto sarebbe chiaro e perfetto.
Semplice la domanda: allora cosa ci sta a fare Leonardo? Solo a tenergli il posto in caldo? Nell’era Moratti, quattro vittorie su quattro partite iniziali sono un bel record. Aveva fatto meglio soltanto Simoni (otto di fila). Gli altri, da Lippi a Mou, sono arrivati a tre, non di più. Leo avrebbe tutto per prendere forza, scartare la confezione regalo proposta dal presidente e metterci la firma sua. Questa Inter somiglia di più a quella vincente degli ultimi anni. Lo spogliatoio ha gettato la maschera. Se Eto’o non è cambiato mai, nè con Benitez, nè con Leonardo, continuando a segnare e imponendo agli altri la sua regalità calcistica. Se Zanetti e Lucio si sono battuti sempre, con tanto di encomio. Altri sono usciti dall’oscurità, hanno riacceso il motore, dimostrato di avere giocato ma sporco. Peccato! Questa bella ed esaltante (anche per il campionato) rinascita interista timbra lo spogliatoio nel modo peggiore. Poi ciascuno la racconti come gli pare, ma non si rinasce, non si torna a correre, giocare, segnare, vincere e creare gioco da primadonna nel giro di una settimana, se motore e teste erano grippati. Serve più tempo per ritrovare lo splendore atletico e il fisico sano.
Ma glissando su questi non banali aspetti comportamentali, ora l’Inter ha tutto per esaltarsi in un testa a testa con il Milan. Meglio sarebbe acquistare un paio di giocatori e rinforzare la rosa. Altrimenti aggrapparsi all’orgoglio ritrovato e alla qualità mai persa.

E scoprire se Leo scalda la panca a Mourinho, ci sta seduto di passaggio, o vuol dimostrare di essere un ottimo allenatore, come garantisce chi lo ha allenato da calciatore. L’Inter non è più quella che racconta Mou. Ma se un giorno si smetterà di raccontare l’empatia, sarà più credibile raccontarne l’impronta di Leonardo.

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