Roma - Tra processo breve e legittimo impedimento, che marciano veloci in Parlamento, spunta una terza possibilità di intervento sui procedimenti in corso: un decreto-legge blocca-processi per 90 giorni, collegato ad una recente sentenza della Consulta. E oggi ne potrebbe discutere il Consiglio dei ministri.
Se ne sarebbe parlato già al vertice sulla giustizia di lunedì a Palazzo Grazioli, forse pure nell’incontro al Quirinale tra Napolitano e Berlusconi. È sul Colle che la maggioranza cerca il primo via libera all’intervento. Potrebbe concretizzarsi in un decreto legge, ma anche in un emendamento ad uno dei due ddl già in marcia, e sospenderebbe i processi ai cui imputati si fanno nuove contestazioni di reato, per consentire loro di scegliere eventualmente il rito abbreviato o di proseguire con quello ordinario. Fattispecie nella quale rientrerebbero anche i processi milanesi al premier, quello Mills e quello Mediaset-diritti tv. Quei tre mesi servirebbero per arrivare in tranquillità alle elezioni regionali.
«L’intervento servirebbe - spiega il senatore del Pdl Pietro Longo - a dare attuazione ad una sentenza della Corte costituzionale del 14 dicembre, sul diritto alla difesa e sarebbe dunque un intervento doveroso, per colmare una lacuna. L’iniziativa dovrebbe essere del governo, data l’urgenza, ma non posso escludere che si segua la strada di un emendamento parlamentare. La sentenza riguarda incidentalmente anche i processi al presidente del Consiglio e temo che per questo si alzi un gran polverone, con il rischio di lasciarla inattuata». Forse per questo, il più cauto è Niccolò Ghedini, che parla però di una competenza del Guardasigilli Alfano. I due hanno partecipato in mattinata ad un incontro di 4 ore con Berlusconi, ma il ministro non conferma che oggi il decreto arriverà al Consiglio dei ministri. «L’ordine del giorno - dice - è ancora in fase di formulazione». La sentenza della Consulta, relatore Giuseppe Frigo, dichiara l’illegittimità di 2 articoli (516 e 517) del codice di procedura penale, che non prevedono la facoltà dell’imputato di chiedere il giudizio abbreviato per un nuovo reato contestato in dibattimento, se riguarda un fatto già presente negli atti quando è stata esercitata l’azione penale. Il rincorrersi di indiscrezioni sul decreto si fa strada nell’aula del Senato, dov’è appena approdato il processo breve, radicalmente corretto da 8 emendamenti del relatore Giuseppe Valentino. Il clima è surriscaldato, con il Pd che preannuncia ostruzionismo e vuole il ritorno in commissione del ddl, l’Udc che definisce il «rimedio peggiore del male» e l’Idv che protesta. È bagarre, la seduta viene sospesa dal presidente Renato Schifani che convoca la capigruppo per questa mattina.
Anche alla Camera non si parla d’altro, mentre la Commissione giustizia procede galoppando all’esame dei 170 emendamenti e arriva il primo sì. Il 25 si approderà in aula. La capogruppo Pd in Commissione, Donatella Ferranti, chiede al sottosegretario alla Giustizia Caliendo del decreto. «Siamo obbligati ad intervenire - spiega lui -: la sentenza della Consulta riconosce una lesione del diritto alla difesa e quindi l’obbligo di riaprire i termini.
L’urgenza c’è: se finisse un procedimento con sentenza definitiva, sarebbe viziato. Ma non è detto che si faccia un decreto o un emendamento ad uno dei due ddl». D’altronde, aggiunge, che differenza ci sarebbe se dovranno essere approvati entro gennaio-primi di febbraio?- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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