Per spiegare le differenze culturali nel mondo avanzato, ai convegni internazionali di psichiatria si diceva, fra il serio e il faceto: se un giapponese va fuori di testa, si uccide; se va fuori di testa un americano, fa una strage. E la storia recente degli Stati Uniti confermava, con le tante carneficine provocate dagli squilibrati di ogni età nelle scuole, nelle caserme, nei luoghi di lavoro e nei centri commerciali, confermava la suggestione degli addetti ai lavori. Il resto del mondo avanzato, in questo, somiglia più al Giappone che agli Usa. Erano e sono, quelle stragi, un’anomalia statunitense. Che quando trova imitazioni all’estero fa notizia.
Ieri, per i dieci bambini uccisi a colpi di pistola nella loro scuola di Rio de Janeiro da un ventitreenne, la presidenta del Brasile, Dilma Rousseff, ha pianto «i brasilianini morti troppo presto» ricordando che il suo Paese «non è abituato a questo tipo di crimini». E nell’intero Cono Sud finora si era verificato un solo episodio paragonabile alla strage di Colombine del 1999 ricostruita in un film da Michael Moore: era il 28 settembre 2004 quando in una cittadina della Patagonia argentina uno studente di 15 anni uccise con un’arma da guerra tre compagni di classe e ne ferì altri cinque.
Il bilancio del massacro di Rio è di undici morti: nove bambine e un bambino fra i 12 e i 14 anni e il folle che si è ucciso. E poi ci sono i feriti: diciotto, dei quali quattro in lotta fra la vita e la morte. Secondo la ricostruzione delle forze dell’ordine e le testimonianze, tutto si è consumato nel giro di pochissimi minuti. L’assassino, poi identificato dai documenti che portava con sé in Wellington Menezes de Oliveira, sarebbe stato visto davanti all’istituto con uno zainetto in spalla, vestito con un’uniforme militare nera, giubbotto antiproiettile e guanti. Ad alcuni insegnanti con cui si sarebbe intrattenuto avrebbe detto che doveva tenere una conferenza. Poi, all’ora d’inizio delle lezioni, sarebbe salito indisturbato, fino al terzo piano dell’edificio, e avrebbe sparato più cento colpi contro gli alunni di una classe che assistevano a una lezione di portoghese. Provocando il terrore in tutta la scuola.
«Non ho mai visto una cosa simile in 26 anni di servizio - ha detto Djalma Beltrame, della Polizia militare di Rio -. Era allucinato. Ha sparato con due pistole calibro 38. Ha lasciato una lettera in cui si parla sconclusionatamente di religione musulmana».
L’eroe della giornata è stato il sergente della Polizia militare Marcos Alves, che, chiamato da due bambini feriti, è accorso da solo quando ancora il folle stava sparando e l’ha colpito a una gamba. L’assassino, caduto a terra, si è subito suicidato.
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