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Riparte la macchina della fine del mondo

L'Lhc di Ginevra, il grande acceleratore di particelle del Cern, ripartirà a metà novembre dopo il guasto che lo bloccò un anno fa. Una corsa contro il tempo per battere il rivale americano

Riparte la macchina della fine del mondo

Dov'è finita la macchina della fine del mondo, il generatore di buchi neri che per qualche giorno, un anno fa, ha fatto temere l'Apocalisse? Il gigante degli acceleratori, il Large Hadron Collider (Lhc) del Cern di Ginevra che promette di aprire la finestra su una nuova fisica, dodici mesi fa ha lavorato per 60 ore sotto i riflettori di tutto il mondo e poi, il 20 settembre, un guasto lo ha fermato.
Per i fisici che vi lavorano non è stato facile, ma non è stato tempo perduto: «È stato un anno molto operoso e siamo contenti, la macchina ripartirà a metà novembre», dice il direttore della ricerca del Cern, Sergio Bertolucci. L'Lhc ripartirà con l'energia di 7 Tev (7.000 miliardi di elettronvolt), metà di quella massima. Probabilmente ci sarà una breve pausa a Natale, a febbraio-marzo 2010 raggiungerà i 10 Tev e poi lavorerà ininterrottamente fino a fine anno.
Una corsa per scongiurare il sorpasso con l'acceleratore americano Tevatron? «Più che una sfida tra Europa e Usa, è una sfida tra due sponsor, ma non della comunità scientifica», osserva Roberto Petronzio, presidente dell'Istituto Nazionale di Fisica Nucleare (Infn), uno dei principali partner di Lhc e Cern. «Tantissimi fisici italiani ed europei lavorano negli Usa, è una comunità molto ibrida», aggiunge.
Intanto al Cern ogni componente dell'anello dell'Lhc, lungo 27 chilometri, è in fase di raffreddamento: «alcune parti hanno già raggiunto la temperatura di meno 271 gradi e ha cominciato a raffreddarsi anche il settore 3-4, quello colpito dal guasto», dice Bertolucci.
A fermare l'Lhc era stata la rottura di una delle giunzioni che alimentano elettricamente i magneti e la scarica generata aveva provocato la rottura di una delle condutture in cui scorre l'elio liquido, necessario a mantenere bassa la temperatura per il funzionamento dei magneti superconduttori. Da allora si è lavorato moltissimo, e non solo per riparare i danni. Per Bertolucci «è stata una pausa utile». «Oltre a riparare i danni, abbiamo avuto modo di migliorare in modo sostanziale l'operatività della macchina», aggiunge. È stato sostituito il sistema che segnala situazioni critiche nei magneti: ci sono volute 7.000 nuove schede elettroniche e 250 chilometri di cavi, ma ora l'Lhc è 3.000 volte più sicuro. «In caso di incidente - prosegue - i danni non si estenderebbero più all'intera macchina, ma a uno o due magneti. Complessivamente la sicurezza è aumentata almeno di un fattore dieci». È stato poi messo a punto un sistema per analizzare le giunzioni in tempo reale: «A intervalli di pochi minuti conosciamo la situazione di ogni singola giunzione».
Nemmeno la ricerca è stata ferma: «nelle 60 ore in cui ha funzionato, l'Lhc ha acquisito moltissimi dati e c'è stato tutto il tempo di studiarli con cura», dice ancora. È stata poi messa alla prova l'intera rete di calcolo (Grid) destinata ad analizzare la valanga di dati attesa nei prossimi anni. Si è guadagnato tempo, risolvendo i problemi legati ai componenti più deboli.

Non ci sono state le collisioni fra protoni, ma le centinaia di migliaia di raggi cosmici che hanno attraversato gli apparati dei quattro esperimenti dell'Lhc sono state preziose: «hanno permesso di allineare tutti i tracciatori con la precisione di 10 millesimi di millimetro», un'operazione che avrebbe comunque richiesto mesi a macchina accesa.

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