«Per risolvere la fuga di notizia basta non citare i nomi dei Pm»

Polito, senatore del Partito democratico: «Rivedere la normativa sulle intercettazioni»

da Roma

«Parliamoci chiaro, ormai si è superato ogni limite: la normativa sulle intercettazioni è da rivedere, l’uso che se ne fa è inaccettabile». Antonio Polito, senatore del Partito democratico, ha le idee molto chiare. Non è in gioco la libertà dei giornalisti, spiega, ma la tutela minima dei diritti degli intercettati. E in altri Paesi europei, quello che accade da noi sarebbe «semplicemente impossibile».
Senatore Polito, lei non pensa che sia stato giusto mettere su internet la registrazione audio di Berlusconi?
«Certo. E non solo per Berlusconi, ma per chiunque altro. Per molti che sono coinvolti dalla pubblicazione, senza aver nessun legame con l’inchiesta».
Ma lei, da direttore, l’avrebbe pubblicata quell’intercettazione?
«Lasciamo perdere, ora faccio il politico, e mi pongo questo problema. Già adesso, si eccede rispetto alla legge. Le intercettazioni dovrebbero essere legittime, solo per reati gravi, pensiamo a quelli di mafia, oppure ai cosiddetti reati associativi».
E non è così?
Lasciamo perdere la politica, ho un esempio che mi è rimasto impresso: quello della madre arrestata e processata per il delitto della figlia, sulla base di un’intercettazione ambientale. Avrebbe detto, in macchina “Povera figlia, cosa ti ho fatto”».
E invece?
«Controperizia della difesa, la frase era “Povera figlia cosa ti hanno fatto”. Assolta. Ma nel frattempo tutto questo era finito sui giornali».
Dicono che il garantismo possa limitare la libertà dei giornalisti.
«Non vorrei fare l’esempio dell’Inghilterra. Altro che Berlusconi! Lì, anche se a essere indagato è un primo ministro, la polizia dà comunicazioni anonime del tipo: “Oggi è stato arrestato un uomo di anni 50”».
Ma poi, il nome sui giornali circola lo stesso?
«Sta scherzando? Si scrive questa cosa, e poi non se ne parla più fino a che, a dire il vero in tempi brevi, non si arriva alla condanna definitiva».
Questa è quasi una censura...
«Pensi che in questo periodo, non si può neanche entrare in aula, né fare fotografie. E non è finita...».
Ovvero?
«Per tutelare gli indagati, o coloro che presentano istanza, i magistrati hanno a disposizione misure cautelari molto drastiche».
Sequestro?
«Quasi di più. C’è il cosiddetto gag order quello che consente di fermare una pubblicazione nelle edicole, ritirarla dal commercio, addirittura di arrestare le rotative se la magistratura ha notizia tempestiva che un diritto può essere violato».
Qualcuno dirà che sono retaggi tardo monarchici...
«Non lo so, quel che è certo, è che a me, da corrispondente di La Repubblica capitò addirittura di poter scrivere i nomi degli indagati, nel mio giornale che usciva in Italia, mentre i miei colleghi britannici, erano costretti ad attenersi alla definizione generica di cui vi ho detto».
Riguarda solo delitti e cronaca nera questa forma restrittiva?
«Un secondo esempio clamoroso, in cui mi capitò di trovarmi nella stessa situazione, è nella famosa vicenda di Lady Diana. In quell’occasione, forse anche giustamente, la magistratura venne a sapere che stavano per uscire delle foto, particolarmente forti, della scena del delitto, la macchina distrutta, Lady D, e bloccarono tutto, anche in quel caso».
Insomma, lei pensa che un giro di vite ci voglia?
«Sicuramente così non si può continuare. Ma voglio fare l’esempio degli innocenti, o di quelli che non c’entrano nulla con l’inchiesta. Questo tipo di registrazioni secondo me, andrebbero addirittura distrutte. Però...».
Che cosa?
«Io avrei un’altra soluzione drastica, che risolverebbe il problema alla radice».
Un incantesimo di Polito?
«Eh eh, meglio.

Una legge che prevedesse un solo divieto. La pubblicazione del nome del Pm che indaga».
E che cosa accadrebbe, secondo lei?
«Le fughe di notizie, le pubblicazioni illecite, la proliferazione delle intercettazioni finirebbe in un minuto».

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