Il vertice di Parigi dal punto di vista dell’immagine rappresenta un successo. Nel momento più caldo della crisi finanziaria le quattro economie più importanti d’Europa sono state messe in fila dietro ad un tavolo dell’Eliseo. Con loro anche il presidente della commissione Ue, a rappresentare tutti gli altri membri, il presidente dell’Eurogruppo a ricordare che c’è un nucleo centrale di Paesi con la stessa moneta, e il banchiere dei banchieri, il francese Trichet ormai sposato al rigore stile Bundesbank. Quello servito ieri all’Eliseo è un piatto ben guarnito. E la predisposizione di un documento comune, con diciannove portate, ha un suo peso. Anche se, come era facilmente immaginabile, conseguenze operative immediate non ce ne saranno. Il segnale che si è cercato di dare è che l’Europa c’è ed è vigile.
Ma andiamo per ordine. Il dato fondamentale è che una crisi globale, come quella finanziaria, non può essere affrontata dagli Stati singolarmente. I quattro hanno voluto ribadire con forza che le soluzioni che si troveranno dovranno essere multinazionali. L’approccio ventinovista, che ha portato alla più grande crisi del secolo scorso, e cioè quella di ricette nazionali, non si può e non si deve percorrere. Berlusconi, prossimo presidente di turno del G8, ha anche ribadito come il consesso verrà allargato a 14 per inserire al suo interno l’80 per cento delle economie mondiali. «Una crisi mondiale - aveva anticipato tutti Angela Merkel entrando ieri nel cortile dell’Eliseo - necessita di soluzioni globali».
Nella sostanza il G4 ha inoltre messo chiaramente in evidenza la priorità della politica economica europea: i risparmiatori non pagheranno per colpe non loro. Si adotteranno tutti gli strumenti possibili affinché i prossimi inevitabili fallimenti bancari siano attutiti dall’intervento pubblico.
Dietro allo stesso tavolo tre dei quattro leader europei hanno una storia decisamente liberale, di intervento pubblico minimo. E anche il laburista Gordon Brown, che proprio nei giorni scorsi ha chiamato il liberista Mandelson alla guida dell’economia britannica, non può certo essere definito un socialista tradizionale. Eppure il pendolo della nuova Europa, in questa fase, oscilla decisamente verso una riappropriazione pubblicistica di alcuni spazi di mercato. Si capirà nel futuro se si tratta di una rottura dovuta all’emergenza indotta dalla crisi di liquidità bancaria, o di un nuovo statuto fondante dell’Europa a 27. Per il momento si può solo dire che emerge un nucleo di interventi improntati al pragmatismo. Nuove regole per le banche, maggiore trasparenza, utilizzo mirato dei fondi della Banca Europea degli investimenti, integrato coordinamento tra le diverse istituzioni europee, ristrutturazione delle regole comuni sulle garanzie ai depositi bancari. E una forte sottolineatura sul fatto che i manager responsabili dei fallimenti saranno puniti. Come efficacemente Nicolas Sarkozy ha sintetizzato si tratta di «una rifondazione finanziaria».
Resta una questione di fondo. Chi pagherà la crisi finanziaria? Come si divideranno gli oneri? Quale sarà la porzione di costi che dovranno subire i risparmiatori traditi e quale i contribuenti colpiti? La soluzione americana di un mega fondo da 700 miliardi vede oggi il contribuente americano potenzialmente colpito a tutela del risparmiatore. Se la crisi dovesse (cosa per la verità che ieri in pochi credevano) colpire in ugual misura l’Europa, le soluzioni sarebbero simili. Affidate ai singoli Stati, mancando un bilancio federale, ma con un indispensabile coordinamento europeo. Non si vuole permettere un nuovo caso Irlanda (il Paese ha unilateralmente aumentato al 100 per cento le garanzie sui suoi depositi bancari).
In mezzo a questo ragionamento si inserisce ovviamente la disciplina di Maastricht che prevede rigidi tetti alla possibilità dei singoli Stati di spendere a debito. Su questo punto l’interpretazione del documento dei quattro è piuttosto aperta. Sarkozy ha però esplicitamente chiesto che «l’applicazione del patto di stabilità e crescita deve riflettere le attuali eccezionali circostanze, in accordo con le regole stesse del patto». Per farla breve, i padri di Maastricht stessa prevedevano in caso di crisi esogene la rottura temporanea dei vincoli di bilancio. L’inserimento di questo punto (il settimo) all’interno delle conclusioni del vertice rappresenta una grande vittoria per la presidenza francese. Il Paese è tecnicamente in recessione e indipendentemente dalla crisi economica non ha alcuna intenzione di adottare politiche fiscali restrittive. Vieppiù se parte delle risorse dovranno nei prossimi mesi essere impiegate per eventuali salvataggi bancari. Ma su questo aspetto le posizioni di principio del G4 hanno solo un peso politico, anche se di primo piano.
Nicola Porro
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