L’autunno è tempo di vendemmia e di primarie. La prima dà del buon vino, le seconde il brivido di elezioni finte o, se volete, virtuali. Nate nel centrosinistra, le primarie hanno contagiato anche il centrodestra per cui la sarabanda è pressoché totale. Lo strumento delle primarie è tipico dei sistemi presidenziali e quasi sempre dei sistemi bipartitici come quello americano e consiste nel far decidere ai simpatizzanti o agli iscritti di un partito il nome di chi, poi, dovrà essere eletto direttamente dal popolo sovrano capo dell'esecutivo. Come si può ben capire, lo strumento delle primarie non c'entra per nulla nella vita delle democrazie parlamentari come quella italiana e più in generale europee. In esse, infatti, il primo ministro deve avere la fiducia della maggioranza dei parlamentari e non degli elettori come nel caso, invece, dei sistemi presidenziali. Insomma nelle democrazie parlamentari le primarie sono come il cavolo a merenda perché con esse si tenta di vincolare oggi il Parlamento di domani. Un vulnus costituzionale che coinvolge ed annulla anche le prerogative del Capo dello Stato. Ma, si dice, le primarie sono un metodo democratico come si evince dal caso Puglia nelle ultime elezioni regionali e pertanto val la pena di adottarle. Tutto falso.
Anzi, a pensarci bene, è l'esatto contrario. Innanzitutto il caso Puglia è la conferma di ciò che diciamo sul piano costituzionale perché il sistema di governo regionale è un sistema presidenziale. In secondo luogo, sul terreno democratico, è l'eccezione che conferma la regola. E ci spieghiamo. Se in una coalizione, come nel caso del centrosinistra, tutti i partiti dichiarano di condividere la designazione di Romano Prodi a primo ministro, a cosa mai possono servire le elezioni primarie se non a consentire a qualche altro candidato di avere qualche voto in più di quanti ne raccoglie il proprio partito in maniera tale da aumentare il suo peso nella redazione del programma e nell'attribuzione dei cosiddetti collegi sicuri? Ed è qui che si consuma l'antidemocraticità delle primarie in un sistema di democrazia parlamentare. Bertinotti, peraltro, con la sua solita franchezza, lo dice apertamente. La sua sfida ha come obiettivo il 15-20% di voti nelle primarie a fronte di un 6-7% (così dicono tutti i sondaggi) dei voti raccolti da Rifondazione nelle elezioni vere e spendersi questa sorta di risultato elettorale virtuale che sa tanto di goliardia per ottenere più collegi e un programma un po’ più a sinistra. La stessa cosa tentano di fare tutti gli altri candidati con il risultato finale che se Prodi avesse il 65% dei voti sarebbe fin troppo facile dire che anche un terzo della coalizione di centrosinistra non lo vuole.
Nel caso del centrodestra la situazione è ancora più kafkiana. Se il ricordo non ci tradisce, uno dei segretari politici della coalizione della Casa delle libertà, Marco Follini, ha detto in conferenza stampa, presente l'interessato, che Silvio Berlusconi non è il miglior candidato possibile. Al di là dell'occasione scelta (ci sembra, ad onor del vero, che sia stato più uno sfregio mediatico che una posizione politica), se uno dei partiti non condivide la più elementare regola democratica, e cioè che in una coalizione è al segretario del partito di maggioranza relativa che spetta la carica di primo ministro, non ha che da notificarlo ai partiti alleati offrendo o una soluzione alternativa o ritirandosi dalla coalizione. Sono questi i fondamentali della politica vera, quella con la P maiuscola che governa tutte le grandi democrazie del mondo. Nessuno si sogna di fare le primarie in Germania, in Spagna, in Austria, in Francia (dove pure esiste un sistema semipresidenziale) e nemmeno in Inghilterra dove vige un sistema maggioritario secco. Tony Blair è primo ministro perché è il leader del partito laburista che ha vinto le elezioni. Se nel suo ultimo Congresso il partito laburista lo avesse messo in minoranza, Blair si sarebbe dimesso da primo ministro.
È questa la regola in democrazia, non certamente la costosa campagna delle primarie che nel centrosinistra come nel centrodestra non apportano nulla di nuovo perché Prodi e Berlusconi resteranno i candidati delle due coalizioni. E se, invece, per puro caso dovessero dare un risultato a sorpresa si rischierebbe di far saltare le coalizioni liberamente scelte perché, tanto per fare un esempio, il partito di Rutelli non voterebbe mai Bertinotti presidente del Consiglio. Se così è (ed è così) allora le primarie altro non sono che la vecchia borbonica «ammuina», con tutto il rispetto che si deve alle persone ed alle forze politiche. Non vorremmo, insomma, che si assumesse il «movimiento» come sostanza politica, quella sostanza politica che disperatamente manca al Paese. E non vorremmo neanche che non sapendo scegliere tra democrazia parlamentare e democrazia presidenziale si mescolassero strumenti dell'una e dell'altra, scivolando o in un peronismo inefficiente o in un governo elitario fatto di tecnocrazie e di salotti più o meno buoni.
La politica e la democrazia, fuori dall'ortodossia delle regole universalmente vissute, scade di tono e spinge il Paese verso il declino.
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