La risposta Viviamo tutti nella pietà virtuale

AUTODIFESA Gli anziani non sono inumani, che allontanino il pensiero della morte è comprensibile

Caro nonno Annibale, la tua lettera è un bellissimo messaggio infilato nella bottiglia e affidato alle onde dell’oceano, sperando che qualcuno prima o poi lo raccolga e ne legga il contenuto.
Ci descrivi la strana vita che si conduce in quest'isola lontana chiamata casa di riposo. Racconti che lì, ormai, la pietà è tutta virtuale, finta, televisiva. Davanti ai cadaveri veri, alle disgrazie vere, si tira dritto. Le lacrime e le emozioni nascono soltanto per i drammoni cretini dei reality e delle fiction. Strepitosa la tua ironia finale: «La televisiùn la ga na forsa de leùn».
Caro nonno Annibale, non commetterò l’errore di addebitare tutto questo all’indurimento della vecchiaia. La corazza dell’età potrebbe spiegare solo l’indifferenza davanti alla morte del compagno di camera e di mensa, che improvvisamente se ne va, liberando subito il posto a un altro candidato. Ma non c’è proprio niente da censurare, in questo atteggiamento: a quella età ne avete già viste talmente tante, dolore-pene-lutti, che certo non vi si può chiedere di riprovare ogni giorno la stessa disperazione. In queste condizioni, la morte diventa un fatto normale e risaputo. Siamo tutti in lista d’attesa, voi avete già fatto il check-in per l’imbarco: lo sapete benissimo, non c’è bisogno di raccontarvi frottole. Giusto e sacrosanto che almeno non dobbiate impazzire davanti alle partenze che vi precedono. Niente di cinico e disumano: è soltanto l’ultima forma di autodifesa, prima di cadere definitivamente in orizzontale.
Diverso però è il discorso della commozione di fronte alle fesserie della tv. Qualcuno che la sa lunga potrebbe spiegarla con gli effetti collaterali della vecchiaia: un po’ si rimbambisce, un po’ si torna fanciulli, inevitabile l’abbandono a ciglio umido per Massimo cacciato dal Grande fratello, o per il gatto di Suellen che schiatta precocemente. Siamo nel filone che dipinge la vecchiaia come un male incurabile, dagli effetti devastanti. Non è teoria nuova. Il fine poeta latino Terenzio già diceva che «la vecchiaia è di per se stessa una malattia». A seguire, Seneca e Cicerone hanno argomentato che bisogna combatterla e curarla proprio come un pericoloso morbo.
Nonno Annibale, io non ti starò a raccontare che la vecchiaia in realtà è bellissima: lo sappiamo tutti e due, non è vero. Personalmente, mi suona sempre curioso come noi uomini passiamo tutta la vita sognando di raggiungerla, salvo poi trovarla ripugnante una volta raggiunta...
No, è un’altra la cosa che ti voglio dire. È un invito: non misurare i danni della vecchiaia da questi pianti surreali e grotteschi per una qualsiasi patacca televisiva. Da questo punto di vista, l’età non c’entra nulla. Te lo posso garantire. Qui fuori, da questa parte dell’oceano, è molto peggio. Anche qui la gente, nel fiore degli anni, soffre sinceramente per il gatto di Suellen e per l’esclusione di Massimo, mentre tira dritta infastidita quando le immagini di Haiti cominciano a farsi un po’ frequenti. Qui fuori mettiamo i cappottini ai gatti soriani, compriamo la carne scelta per i pechinesi, piangiamo come vitelli quando ritrovano un cucciolo abbandonato sul cavalcavia dell’autostrada, ma tiriamo dritti con grande noia davanti ai dati pazzeschi della mortalità infantile nel terzo mondo. E se per caso lo fai notare, ti dicono «ancora con questo moralismo, ebbasta per favore...».
Caro nonno, stai sereno. Non ti deprimere per quel che succede nella sala tv della tua casa di riposo. Siete perfettamente uguali a noialtri, momentaneamente ancora fuori. Il problema non è la vecchiaia: il problema è l’umanità. La nostra sensibilità, il nostro gusto: tutto riaggiornato al ribasso, verso la mediocrità e la superficialità. Siamo come assopiti in una grande narcosi collettiva. A forza di non pensare più, ci illudiamo persino di non invecchiare mai, di non dover mai fare i conti con la casa di riposo e con le piacevolezze del catetere. Sai lo choc, però, quando implacabilmente arrivano...
Caro nonno Annibale, potremmo persino lanciare un appello ai ventenni, perché imparino qualcosa dalla tua lettera e si godano le meraviglie dell’età, finché sono in tempo. Ma è una fatica inutile: anche tanti di loro, come i tuoi compagni di reparto, sono già ineluttabilmente immersi nelle artificiali passioni degli schermi. Si portano avanti, con sessant’anni di anticipo. Provano ad essere vecchi.
Meglio, decisamente meglio salutarti con affetto.

Lascia che ti rivolga un complimento molto sincero: se alla tua età, nel tuo soggiorno coatto, ancora riesci ad osservare con occhio così arguto l’assurdo della vita, significa che stai crescendo benissimo. Per noi, da questa parte dell’oceano, sei una grande speranza. Te ne sono teneramente grato.

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