Rissa per la visita allo stadio di Di Pietro: 12 feriti

La protesta dei tifosi della Sambenedettese contro il loro presidente candidato per l’Italia dei valori

Mimmo Di Marzio

«Maledetto il giorno che t’ho incontrato» avrà pensato Antonio Di Pietro davanti alla folla dei sambenedettesi inferociti che lo aspettavano «a Canossa» con il suo incauto acquisto, il candidato Alberto Soldini, numero 3 nella lista marchigiana dell’Italia dei Valori. Nemmeno lui, nonostante il temperamento sanguigno e malgrado fosse nel suo Centrosud, poteva immaginare fino a che punto fosse giunto l’odio della città verso l’attuale presidente del club calcistico locale, che l’imprenditore romano sta facendo sprofondare nel baratro della bancarotta, oltre che della classifica. Ad aspettare Tonino e Soldini non c’erano soltanto i giocatori senza stipendio da otto mesi, sfrattati dagli alloggi, senza i buoni pasto e che allo stadio semivuoto devono andarci a piedi perché tra i creditori c’è pure la società che forniva il pullman alla squadra. Fuori dal Comune di San Benedetto del Tronto, due sere fa, c’erano anche 400 persone che hanno scatenato un’autentica guerriglia urbana. Sulla delegazione dell’Italia dei Valori è piovuto di tutto: uova, bottiglie e molte carote, ortaggi su cui Soldini pare abbia costruito le sue fortune. Il bilancio è pesante anche per una campagna elettorale come quella attuale: dodici feriti tra cui il coordinatore marchigiano dell’Italia dei Valori, Dante Merlanghi, colpito al capo da una bottiglia.
«Maledetto il giorno che t’ho incontrato» avrà pensato l’ex pm di Soldini quando, arrancando al microfono, cercava di salvare l’insalvabile subissato da urla e fischi, mentre il suo pupillo veniva rifugiato in stanze sicure per sfuggire a un linciaggio non solo morale. Di Pietro, da par suo, sperava forse di potersela cavare con un’accorata autodifesa d’ufficio. «Ho ritenuto mio dovere venire da voi per non fare un’ingiustizia verso la città», ha esordito con un imbarazzo superiore a quella del peggior Porta a Porta. Volano gli insulti ma l’ex pm ci prova lo stesso: «Sono qui per senso di responsabilità. Quando ho stilato le 945 candidature in tutta Italia ho chiesto il certificato penale a tutti, accettando solo persone incensurate. E non so quanti abbiano avuto la mia accortezza. Poi, come voi, tramite Internet, ho conosciuto la situazione odierna. Ma posso dire di non conoscere i fatti. E di non volerli nemmeno conoscere». Come dire, con Soldini niente a che fare. La folla non ci sta e urla. E allora Tonino tenta una disperata captatio benevolentiae: «È la magistratura che deve fare il suo corso, ma posso dire che la prima vittima è la città di San Benedetto». Qualche applauso, per la verità poco convinto. Anche perché i marchigiani, che siano tifosi, creditori o elettori mancati chiedono fatti non parole, cioè i soldi di Soldini. Non solo. Di Pietro sa di dover anche tentare di mettere una pezza sulla gaffe politica che certamente, almeno da questa parte, gli ha fatto perdere parecchi voti. Ma il rimedio sembra peggiore del male. «Mi sento umiliato per aver creato questo dispiacere», ha detto Di Pietro, «ora ho chiesto a Soldini di ritirare la sua candidatura. E io mi candiderò direttamente al suo posto». Una soluzione che, in base alle norme elettorali, è tecnicamente impossibile e Di Pietro lo sa benissimo.

come sa di dover spiegare un’altra cosa agli elettori: come nasce l’ambiguo matrimonio tra l’Italia dei Valori e un imprenditore romano senza alcun passato politico e con il vizio degli assegni protestati? Stavolta Tonino si arrampica sugli specchi: «Chi me lo ha presentato? Nessuno, si è presentato lui a me, era tra gli iscritti di Ostia». Ma come, basta un curriculum per ambire a un seggio da deputato? Tanto più che al coordinamento dell’Idv di Ostia non risulta alcun iscritto chiamato Alberto Soldini.

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