Cronaca locale

Ritorna il «braccialetto» È un rapinatore il primo detenuto elettronico

Una nuova sperimentazione del sistema che sorveglia i detenuti ai domiciliari. Ma nel 2001 un peruviano sparì dopo due giorni

Braccialetto elettronico, si ricomincia. Ma stavolta tutto è ripartito in silenzio. Memori forse dello sfortunato esordio del 2001 - quando il peruviano Augusto Cesar Tena Albirena, scelto per sperimentare l'attrezzo nella sua casa di via Sismondi, ci mise due giorni a sparire nel nulla - stavolta i responsabili dell'Operazione Braccialetto hanno deciso di evitare la grancassa mediatica. Una ripartenza in sordina per una novità che nel resto d'Europa da anni non è più una novità, il congegno elettronico destinato (in teoria) a coniugare svuotamento delle carceri e sicurezza delle strade.
Da una settimana un signore milanese di quarant'anni, arrestato e condannato per direttissima a sei mesi per rapina impropria, sta scontando la pena a casa sua. A controllare che non esca di casa, il cinturino di plastica grigia che un tecnico gli ha fissato alla caviglia, collegato da un microchip alla linea telefonica speciale installata nell'appartamento. A ordinare l'applicazione dell'attrezzo è stato il giudice Angelo Mambriani, della terza sezione penale.
Il carcere, per la lievità del reato e per la vita precedente dell'uomo, sarebbe stato eccessivo. Ma gli arresti domiciliari classici sarebbero stati impossibili da tenere sotto controllo. Così il giudice ha chiamato i tecnici che in questi anni hanno continuato a lavorare al progetto e ha chiesto aggiornamenti: «Siete pronti a partire?» Hanno risposto di sì. E Mambriani ha deciso la pena: sei mesi, a casa, guardato a vista dal braccialetto. Che ovviamente non impedirà all'uomo, se lo vorrà, di evadere: ma avviserà in diretta il 113. Nel giro di pochi giorni, al primo braccialetto se ne dovrebbe aggiungere un secondo: il candidato è un italiano condannato (stavolta per furto) dal medesimo giudice Mambriani.
Ad affossare l'esperimento, sette anni fa, erano state (nell'ordine) l'impreparazione tecnica, le aspettative eccessive e le scelte sbagliate dei destinatari: ai domiciliari col braccialetto era andato persino un boss pluriomicida, che ovviamente era subito tornato «in bandiera», ovvero alla macchia. Ma negli ultimi tempi, su spinta di una parte della magistratura, del Dap (la direzione delle carceri), e del sindacato della polizia penitenziaria, si è tornati a lavorare ad allestire la struttura tecnica.
Non è stato un lavoro semplice. In ognuna delle 103 province italiane sono state costituite tre centrali in grado di ricevere l'allarme: una ciascuna per carabinieri, polizia e guardia di finanza (anche se da tempo la polizia penitenziaria chiede di prendere in gestione l’intera rete di controllo sui detenuti elettronici). Queste 309 centraline sono collegate 24 ore su 24 alla centrale unica nazionale di Roma, una struttura di Telecom Italia che tiene sotto controllo in diretta i braccialetti e che viene allertata appena un braccialetto esce dal raggio d'azione della linea telefonica piazzata in casa del «detenuto». E da Telecom l'allarme viene girato alla forza di polizia territoriale incaricata di tenere d'occhio il soggetto in questione.
A governare il tutto è una tecnologia sperimentata da anni e con successo in Inghilterra, dove i braccialetti controllano 13mila persone: non solo detenuti, ma anche hooligans colpiti dal divieto di recarsi allo stadio.

Ora, anche da noi tutto è pronto a ripartire: sperando che il signore destinatario del braccialetto numero uno non decida di scappare anche lui, dando di nuovo il via al valzer inevitabile delle polemiche.

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