Il ritorno di Nick Cave poeta maledetto del rock

In lui si uniscono, riconciliandosi, sacro e profano, santità e anima luciferina, dolcezza e violenza, baratro e cielo. C’è questo e molto altro nell’inquieto mondo di Nick Cave, il rocker ribelle australiano che passa dal blues allucinato ai suoni romantici, dalla poesia visionaria ai romanzi on the road. Cave (detto «Re inchiostro»), sbarca stasera al teatro Dal Verme nella duplice veste di musicista e romanziere per una serata che s’intitola significativamente «Una serata di lettura, musica e conversazione con Nick Cave». Non a caso in molti lo definiscono, per il fulgore visionario e il lirismo vorace, «un poeta secondo solo a Dylan».
Ma anche uno scrittore di suggestivi romanzi, come La morte di Bunny Munro, pubblicato in Italia da Feltrinelli, che presenta con un atipico concerto-evento «informale, intimo e bizzarro», promette solennemente lui. Reprobo redento o cinquantenne che con la maturità ha messo in fuga l’angelo condannato al marciume che sta dentro di lui, Cave - con la collaborazione di Stefano Benni - leggerà estratti del suo libro e risponderà alle domande dei fan. Naturalmente la musica la farà da protagonista, con Nick accompagnato da Warren Ellis (polistrumentista che passa dal violino alle tastiere al bouzouki alla chitarra)e Martyn Casey (bassista, uno dei suoi fedeli Bad Seeds)a rimestare nel suo repertorio che naviga tra l’irruenza del punk e la corrosiva acidità del blues, dalla ballata macabra al rock liberatorio. Il suo pubblico lo attende soprattutto per le canzoni anarchiche ed eversive, pronto a liberare energia e suoni estremi ricamandoci sopra il suo canto spiritato, folgorato da Gesù e da Dylan, dal Vangelo di San Marco e da Beckett, da Rimbaud a Dostoevskij (il suo gruppo Birthday Party prende nome da un suo romanzo).
I suoi concerti non sono più agghiaccianti come un tempo (niente volto insanguinato, tamburi sfondati, atti violenti e vandalici), resta però la carica sensuale e la potenza di sempre, come dimostrano i due ultimi album Grinderman (ritorno alle radici garage - rock)e il tagliente Dig Lazarus Dig. E andando a ritroso troviamo il capolavoro in due cd Abattoir Blues - The Lyre of Orpheus e No More Shall We Part, solo per rimanere nel nuovo secolo. E poi c’è la sofferenza di Boatman’s Call e i toni luciferini di MUuder Ballads, le ballate assassine che raccontano epiche storie di anime erranti (non a caso Cave ha sempre sostenuto di essere stato influenzato da rapinatori e assassini come Ned Kelly e Carl Panzram; soprattutto dalla frase di quest’ultimo che, dopo essere stato portato davanti al giudice per venti omicidi, gli disse: «Io ho fatto il mio dovere, ora voi fate il vostro»).
Ma questa è l’agiografia che circonda (e soprattutto circondava)il Nick Cave del passato. Ora lui è concentrato sul nuovo romanzo, storia dura e vissuta dalle mile sfaccettature cromatiche. È la storia di un venditore di prodotti di bellezza che, dopo il suicidio della moglie, prende a vagabondare per l’Inghilterra portandosi dietro il figlio di 9 anni. Un racconto tra presente e passato, dove ai «sentimenti» (il rapporto col figlio) si contrappongono i dolori della vita di tutti i gironi, gli incontri con killer piscopatici, mariti gelosi, alcoolizzati e varia umanità che segnano indelebilmente la storia di Billy fino alla sua morte.
Brutalità e istinto rock uniti al suo cotè da intellettuale bifronte e un po’ snob, Cave si prepara a stupire un’altra volta i fan. Meno aggressivo ed estremo nella vita («Non sono sicuro che col tempo si diventi più saggi - dice - ma ora capisco me stesso molto più di quindici anni fa. So cosa mi fa male e cosa mi cura») sa tener ben vivo il sacro fuoco del rock spruzzandolo col sale di una letteratura sanguigna.

Cercate di capirlo ma non provate ad entrare nel suo cuore e nella sua anima coltivata con rabbia, whisky, eroina, visioni religiose al tempo stesso perverse e innocenti perché «la canzone d’amore è voce di Dio e quindi deve risuonare di sospiri di dolore».

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