Cinzia Romani
da Roma
Litigi. Caos. Diffidenza. Cose brutte dal mondo, che si possono chiudere oltre le pesanti porte di un locale elegante di Shanghai, dove negli anni Trenta sincontrano nobili russi decaduti e faccendieri giapponesi, esponenti della malavita e cinesi ricchi in cerca di emozioni. Capita nellultimo film di James Yvory, La contessa bianca (da domani nelle sale), dove recitano, oltre a Ralph Fiennes (nel ruolo dun ex-diplomatico cieco), mamma Vanessa Redgrave (zia Sara) e figlia Natasha Richardson (la contessa Sofia, anima del night club), avuta dal regista Tony Richardson. E per chi si lamenta degli asfissianti clan nostrani (vedi www. Cinemotoronline, con elenco completo delle parentele artistiche italiane e inciuci relativi), ecco pure Lynn Redgrave (sorella di Vanessa), qui nella parte di Olga.
Prodotto dal partner storico del regista inglese, Ismail Merchant, prima orrificato dallidea di un racconto lento, come questintimo dramma (sceneggiato dallo scrittore giapponese Kazuo Ishiguro), poi entusiasta del risultato, il film si svolge tra il 1936 e il 1937. Ossia negli anni antecedenti linvasione giapponese della Cina orientale, cui seguì la guerra cino-giapponese. «Dopo otto stesure, la sceneggiatura fu perfetta» dice Ivory, che ha già portato sugli schermi il bestseller di Ishiguro Quel che resta del giorno. «Amo, delle sue opere, lelemento ricorrente di un eroe ossessivo e mezzo matto, senzaltro represso. È stato Fiennes, invece, a suggerirmi lidea di un protagonista cieco, però dotato dun senso estetico eccellente. Quanto alle ambientazioni, abbiamo ricostruito la Shanghai depoca, col suo quartiere del piacere» spiega lautore di Camera con vista. Nel suo smaltato mélo, tra sampan e bambù; in mezzo a contesse russe decadute e affaristi giap incanagliti, svolge una parte consistente la fotografia impeccabile di Christopher Doyle, il Picasso del cinema dazione asiatico. Conoscendo Ivory, anche lui temeva leffetto Kammerspiel, sventato «grazie a una camera fissa ed una mobile» chiarisce il regista, che ieri, alla Casa del Cinema, ha confessato di non aver mai visto un film di Spielberg, né di essersi ispirato, qui, a Casablanca (come la critica Usa sostiene). Certo, il dignitoso dolore della contessa Sofia, emigrata di rango, costretta a prostituirsi al night, per mantenere la figlia e i congiunti può risultare moderno e contemporaneo, se avvicinato ad altre storie femminili. «Tutte le profughe dalla Bosnia, dalla Cecenia e le donne del pianeta, che nelle guerre hanno perso mariti e figli, sono apparentabili alle figure di donna che incontriamo qui. I profughi siamo noi, privi di governanti capaci di guidaci» dichiara in italiano Vanessa Redgrave, maestosa nella sua nobile sciatteria dinglese cultrice di Shakespeare. «Per me è stato un regalo lavorare con mia figlia, alla quale durante le riprese ho guardato come al personaggio Sofia» racconta linterprete, pasionaria, come ai tempi della storia damore con Franco Nero, padre di uno dei suoi figli.
Nel film, terza collaborazione di Vanessa con Ivory (dopo I bostoniani, del 1984 e Casa Howard, del 1992), la Redgrave disegna un incisivo cammeo.
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