«Ritter, Dene, Voss» Alla Cooperativa va in scena il filosofo

Sarti rilegge a modo suo l’opera di Bernhard: e il protagonista si fa clown

Matteo Failla

Alla luce della carriera di Renato Sarti e delle sue scelte artistiche, si potrebbe pensare all’ennesimo «mattonazzo» - come ha definito lui stesso ironicamente alcuni dei suoi lavori precedenti - vedendo affidata alla sua regia la pièce Ritter, Dene, Voss di Thomas Bernhard, in scena fino al 2 aprile al Teatro della Cooperativa (via Hermada 8), con protagonisti Paolo Bessegato, Giorgio Ganzerli e Antonio Rosti. E invece non è così, anzi, alcuni potranno forse storcere il naso nel vedere una «visione sartiana» di quest’ opera che punta quasi esclusivamente alla vena comica dello scrittore austriaco, sulla parodia piuttosto che sul dramma interiore; ma ben presto costoro si accorgeranno che questa lettura di Ritter, Dene, Voss ridona solo giustizia ad un testo spesso frainteso.
La scrittura di Bernhard è talmente tragica da poter diventare comica?
«Sarà perché sono triestino e l’aria austriaca che si respira da quelle parti è più forte – spiega Renato Sarti -, sarà perché la mia natura teatrale mi fa superare le insidie intellettualistiche puntando piuttosto sul lato pratico, ma ci sono situazioni in questo testo che sono pura comicità. Il personaggio Ludwig è una parodia del filosofo Wittgenstein, e vi sono tanti spunti biografici a ricordarlo, creata con l’unico intento di dare origine ad una sorta di maschera intorno al “personaggio filosofo” fallito. Esempi comici ve ne sono molti, come la lunga “sparata” di Ludwig sui ritratti degli antenati appesi in casa o la scena del krapfen, solo citarne due tra tante. In questo “Ritter, Dene, Voss” siamo molto vicini alla “maschera” come mai è successo prima: i protagonisti sono farneticanti e logorroici clown».
Il tema del sesso ha un ruolo importante, e avvicina ancor di più il testo alla Commedia dell’Arte.
«Certo, e si fanno riferimenti espliciti. Ludwig ad un certo punto parla di un suo periodo in Inghilterra in cui ha “fatto salire il mio aquilone”; ma questa non è la traduzione esatta, sarebbe meglio dire “drago volante”. È quindi chiaro il riferimento alla sessualità, e la sorella, poco dopo, afferma di aver avuto una parte determinante in quella “salita”. Non solo, il direttore del manicomio dove Ludwig si fa ricoverare dice che “dedicatosi prima agli aquiloni, Ludwig è poi passato ai motori a propulsione”: un riferimento sessuale all’altra sorella, una donnona con il sedere grosso. E cosa dire di quella frase “Clavicembalo ben temperato”, pronunciata dal “filosofo” nel vedere la sorella dal grosso sedere piegata ad angolo retto per firmare il foglio di uscita dal manicomio? Non è certo un impulso di tipo musicologico».
Nello spettacolo le due sorelle di Ludwig sono interpretate da due attori maschi. Perché?
«Perché questo spettacolo è un manifesto provocatorio che allontana dalla visione intellettualistica di un Bernhard fin troppo vicino al teatro dell’assurdo e molto poco a quello grottesco: è un gioco di maschere e di teatralità».
Ed ogni sera, oltretutto, gli attori si scambiano i ruoli.


«È un meccanismo divertente che accresce la messa in scena: ogni attore prende e dà qualcosa quando interpreta un personaggio (e per poter godere di questa “rotazione” c’è una interessante offerta sui prezzi dei biglietti)».

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