Cronaca locale

La rivincita dei commercianti: «Ma io avrei buttato la chiave»

In corso Buenos Aires i negozianti danneggiati esultano: «Ma non è una vittoria piena, nessuno ci rimborserà per le devastazioni»

Giacomo Susca

Hanno atteso il giorno della sentenza per mesi, divisi tra il desiderio di rivalsa e la solidarietà nei confronti di genitori come loro, alle prese con il dramma di un figlio in carcere per devastazione e saccheggio. Commercianti e residenti di corso Buenos Aires hanno riflettuto a lungo su quanto accaduto l’11 marzo, quando l’ambiente di casa o di lavoro è diventato il teatro di un’autentica guerriglia urbana. Ieri il Tribunale di Milano ha punito con 4 anni agli arresti domiciliari 18 responsabili delle vetrine rotte, delle auto date alle fiamme, dei cassonetti usati per fare barricate contro la polizia e degli altri incidenti che trasformarono la strada dello shopping in un inferno di fuoco e lacrimogeni.
Tino Turla, titolare di un negozio di attrezzatura da sub proprio di fianco all’An Point preso di mira e bruciato, quel sabato se l’è vista brutta: «Solo per un colpo di fortuna non ho subito danni. Ora è giusto che che chi ha sbagliato così gravemente paghi. Ma visto come vanno spesso le cose - aggiunge stizzito - c’è il rischio di ritrovarsi di fronte quei violenti alla prossima manifestazione di estrema sinistra». Al negozio della Singer, poco più avanti, nessuno ha voglia di commentare la decisione dei giudici. «Tanto i danni non ci saranno rimborsati. Per noi questa sentenza non è una vittoria», si limitano a dire. Così come lo stupore e il panico sono ancora vivi nel ricordo di chi, quella mattina da incubo, si trovava a passeggio o al lavoro. Valentina, commessa alla Carrera ricorda «le ore di paura» vissute: «Eravamo tre donne, da sole. Ci siamo chiuse dentro a chiave e siamo scappate nel magazzino di sotto, fino a quando è finito tutto».
Sul marciapiede opposto, le fioriere ornamentali che erano state rovesciate sull’asfalto dagli autonomi sono di nuovo al loro posto. L’edicolante che ha aiutato a risistemarle si sforza di entrare nei panni altrui ma vuole rimanere anonimo: «Posso capire i padri e le madri dei ragazzi coinvolti e il tentativo di giustificare l’ingiustificabile. Ma vi assicuro che se mi fosse capitato a tiro uno dei vandali l’avrei preso a schiaffoni», ammette. Infatti alcune tra le persone presenti, spettatori inermi ed esasperati, ad un certo punto provarono a fermare con le proprie mani la furia dei «manifestanti», con gli agenti che intervenirono per evitare linciaggi.
Roberto Balsamo, presidente dell’Associazione commercianti di zona all’epoca degli scontri, organizzò per il venerdì successivo la fiaccolata in difesa della legalità. «L’11 marzo è successo qualcosa di inaudito per un Paese civile. I facinorosi tolsero ai cittadini la libertà di uscire di casa. Molti commercianti aiutarono la gente a sfuggire ai sassi e alle molotov» racconta Balsamo. «Oggi penso che giustizia è stata fatta, perché non era ammissibile che non fosse individuato un colpevole - dichiara -. Mi auguro che in futuro a cortei del genere non sia consentito attraversare le vie del centro, popolate da anziani e bambini, specie nei festivi», conclude.
A parte qualcuno che reputa la sentenza addirittura clemente («bisognava rinchiuderli e gettare la chiave»), i cittadini di corso Buenos Aires e dintorni si trovano d’accordo nell’esprimere soddisfazione riguardo al verdetto emesso, mentre c’è chi propone pene «alternative» alla detenzione. Come Freddy, che lavora nel chiosco di giornali, anch’esso preso d’assalto: «Stiamo ancora riparando il lato distrutto. Più che stare ai domiciliari, dovrebbero pagare tutti i danni creati e lavorare per anni ai servizi sociali. Solo così capirebbero l’errore commesso», suggerisce.
Di sicuro gli anni prescritti ai ragazzi ritenuti colpevoli serviranno. A dirlo sono due loro coetanei. Alice, però, pensa anche che «il diritto di manifestare non vada mai negato, a patto che si garantisca l’ordine pubblico».

E persino Stefano, che ha condiviso le intenzioni dei centri sociali, riconosce che «per quelli lì la punizione è meritata, hanno davvero passato il segno».

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