La rivoluzionaria raccontata da "mamma" Carrère

Aleksandra Kollontaj. La valchiria della rivoluzione è un saggio storico denso e leggibilissimo, che si muove fra dettaglio e aneddoto, fra documentazione precisa e quel pizzico di romanzesco che, data la protagonista, è quasi inevitabile

La rivoluzionaria raccontata da "mamma" Carrère
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Aleksandra Kollontaj. La valchiria della rivoluzione (Einaudi, pagg. 168, euro 23) è un saggio storico denso e leggibilissimo, che si muove fra dettaglio e aneddoto, fra documentazione precisa e quel pizzico di romanzesco che, data la protagonista, è quasi inevitabile. Del resto l'autrice è una storica della Russia fra le più prestigiose: Hélène Carrère d'Encausse, docente universitaria, studiosa, ex parlamentare europea, una delle esponenti più note e piene di onorificenze dell'élite di Francia, membro dell'Académie française dal 1991 e, dal 1999, segretario perpetuo dell'istituzione. «Segretario perpetuo» proprio così, al maschile, come ha più volte sottolineato Madame Carrère, che è fermamente contraria alla femminilizzazione della lingua francese. Ma, oltre a tutto ciò, che per molti sarebbe più che abbastanza, Hélène Carrère d'Encausse è, anche, la madre di Emmanuel Carrère; e tutti i lettori di Carrère (figlio) non possono che associare la madre a quanto narrato in quel capolavoro che è Un romanzo russo (Adelphi 2018), in cui lo scrittore, fra le altre cose che gli capitano, si mette sulle tracce della storia della famiglia materna, svelandone alcuni segreti nascosti dai tempi della Seconda guerra mondiale. In breve, il terribile sospetto che il padre di Hélène, ucciso nel 1944, collaborasse con l'occupante tedesco.

Hélène Carrère d'Encausse nasce a Parigi come Zourabichvili nel 1929, quando la famiglia, di origine georgiana e altolocata, costretta da tempo alla fuga, si è ormai rifugiata in Francia. È, insomma, una aristocratica russa, come la protagonista del suo libro, Aleksandra Kollontaj. La quale però rimane in Russia e dedica tutta la sua esistenza a un imperativo: stare con il popolo. Nasce a San Pietroburgo nel 1872, gira per tutta l'Europa, è la prima donna ambasciatrice della storia (in Norvegia, in Messico, in Svezia...) e torna a casa a morire, a Mosca, nel 1952. Pochi anni prima, nel '46, sfiora il Nobel per la Pace per la sua mediazione nella guerra di Finlandia. È una rivoluzionaria della prima ora, del genere «gentiluomo pentito» di Turgenev e di tanti romanzieri russi e, soprattutto, una oratrice formidabile: Lenin prima e Stalin poi la mandano ovunque a sostenere la causa bolscevica perché nessuno arringa e convince la folla come lei. Anche perché, oltre al russo, parla perfettamente tedesco, francese e inglese. È bella, affascinante, passionale, difende e pratica la libertà in amore (cosa per cui è violentemente attaccata da molte «compagne») ed è una comunista convintissima. Oltre al Soviet, però, c'è un'altra causa per la quale combatte, spesso contro l'ostilità dei «compagni»: quella delle donne. Lenin la nomina ministro degli Affari sociali (una donna ministro, nel 1918...), e lei vuole difendere madri e bambini. Dura in carica quattro mesi. Contesta Lenin apertamente sulla pena di morte, eppure è nell'entourage dei suoi fedelissimi. Perfino Stalin ne riconosce l'autorevolezza e il prestigio e, nella tabula rasa delle purghe, la risparmia. Nel 1936, camminando nelle foreste svedesi, confessa all'amante/confidente Marcel Body di essersi accorta che, ormai, fossero rimasti in vita soltanto due compagni di Lenin: lei, e Stalin.

Perché un personaggio così notevole è quasi sconosciuto, soprattutto in un'epoca di eroine (vere o presunte) sbandierate a ogni occasione? È quello che cerca di spiegare Madame Carrère e che, di fatto, sembra potersi riassumere così: Aleksandra Kollontaj era, sì, una fedelissima alla causa del popolo.

Ma anche a quella, a molti invisa, del femminismo. Ed era una ribelle: abilissima, ma pur sempre ribelle. Il compagno Stalin la lascia vivere, ma impone su di lei la damnatio memoriae. È toccato ai posteri riscoprirla, e ridarle il posto che la Storia le ha riservato.

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