Robbie Williams, laser e fiammate Il suo pop dà spettacolo a San Siro

In uno stadio tutto esaurito l’unico show italiano dell’artista che canta Trippin’ avvolto nel tricolore e imita i Rolling Stones: «Siamo i campioni del mondo»

Cesare G. Romana

da Milano

Intona Trippin’ avvolto nel tricolore, tira calci a un pallone e il furbesco omaggio all’Italia dei Mondiali scatena ovazioni. Ma appare superfluo: c’erano già tutti, nel concerto di Robbie Williams ieri a San Siro, gli ingredienti d’un successo sicuro. Per esempio, platea di teen ager, scenografia mirabolante, musica che fluisce come acqua fresca e cioè facile e terapeutica, leggi scacciapensieri. E ovviamente, c’era il verace carisma del protagonista, Take That pentito e almeno per ora gran dominatore di classifiche, grazie ad alcuni album astuti, non abbastanza geniali da disorientare le masse ma non abbastanza beoti da irritarle.
Così non è mancato a Robbie, dopo tre anni d’assenza dall’Italia, un prevedibile trionfo: giubilo, uggiolii di ragazzine, sventolare di striscioni e gli inevitabili cori a ingigantire le tenui linee melodiche del canzoniere williamsiano. Lui, con la sua faccetta working class, l’aria da gavroche scampato all’inferno, i ben calibrati atteggiamenti da anti-divo, sa del resto come calamitare gli entusiasmi giovanili: così lo show acquista in gradevolezza quello che non può esibire in spessore.
Certo, dopo l’assoluta magia del tour di Springsteen - su musiche, tra l’altro, di Pete Seeger -, e il memorabile show dei Rolling Stones, Milano non può dire d’avere assistito, col pimpante concerto di Robbie, ad un ulteriore salto di qualità. Ma dopo due straordinarie incursioni nella classicità, ben venga l’ex Take That a rammentarci che non di solo genio è fatta la merceologia del pop, e se la Storia è maestra di vita anche la cronaca spicciola ha i suoi diritti. Sicché eccolo arrivare in scena senza risparmio di kitsch: inguainato in un raggio grigio-oro, in sottofondo il tema di Incontri ravvicinati del terzo tipo, in primo piano fiammate petardi fumi e tuoni, alle spalle un muro di luci e immagini. Kitsch davvero efferato, e tuttavia sul terreno, friabile, del consumismo pop Williams non rappresenta di certo il peggio: lo show ha, nel bene e nel meno bene, una sua implicita genuinità, il giovanilismo di fondo non rinuncia a cercare qualche quarto di nobiltà. E infatti il protagonista mescola pop, rock, rock-jazz, funk martellante e perfino finezze da crooner che, va bè, l’amplificazione distorce e castiga. Per il resto l’impaginazione del concerto anticipa quella sterzata dance e hip hop che terrà banco nel prossimo album, previsto per settembre. Si sa che il manufatto s’intitolerà 1974, data di nascita del divo, o Rudebox - titolo del singolo apripista, ieri applauditissimo -, che rievocherà in brani come 80’s e 90’s il non rimpianto rapporto con i Take That, che il romanticismo sarà affidato a canzoni come The actor e Lovelight, e che il tutto rifletterà l’ammirazione di Williams per l’ultimo, mediocre album di Madonna, Confessions on a dance floor. Cooptando nel cast William Orbit, produttore della diva americana, insieme al dj newyorkese Mark Ronson, ai Pet Shop Boys e, nientemeno, a un artista dedito a ben altri traguardi, come Manu Chao, celebrato in King of the Bongo. Così come non mancheranno tributi a David Bowie in Viva Life of Mars e a Lady Ciccone in She’s Madonna.
Il tutto con gran senso del marketing, e anche questo ha confermato lo show di San Siro, aperto con Radio, lui perfino elegante in blu, azzurro e turchese. Acclamatissimo, s’è detto: com’era lecito attendersi dalle prodezze ginnico-spettacolari dell’artista, che via via emula Superman in «voli» spericolati, appare in un video camuffato da santone e ambienta i bis su una gondola. Cogliendo ovazioni, appunto, da stadio, in pagine come Millennium, Feel, Let me entertain you, Angels, Sin Sin Sin.

E stregando ulteriormente una platea che altro non chiede, se non d’essere stregata, con Make me pure, Back for good, Come undone, Rock Dj, Advertising space. Fatuo, energetico, furbissimo, dunque in trionfo, come vuole la legge sbilenca del pop, e dei tempi il costume.

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