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Robles non supera l’ostacolo dei giudici Addio oro nei 110 hs

Il cubano trionfa ma con la mano rallenta il cinese Liu Xiang: squalificato. Pistorius manca la finale. Prima volta del Botswana

Robles non supera 
l’ostacolo dei giudici  
Addio oro nei 110 hs

Un altro bel giallone, peccato tocchi sempre ai migliori. Il mondiale di atletica non si è ancora ripreso dal caso Bolt, che già siamo a discutere di moviola, falli e falletti. Purtroppo qui non è come nel calcio: da una parte si vanvereggia per un mese su un fallo da rigore, lì vola via la medaglia, che poi è d’oro.

Peccato ci sia andata di mezzo la finale dei 110 ostacoli, una delle più belle che questo mondiale proponeva. Ultimi quaranta metri: Dayron Robles, il superman di Cuba si avvia al primo successo dell’isola nella specialità. Liu Xiang, il cinese che vale un’icona per la gente sua, avanza veloce come un motoscafo: sono vicini, fin troppo, al limite della corsia (specie il cinese). Robles fa un movimento meccanico del braccio e va a stoppare la mano dell’altro. Poi, ancora, le due braccia si incrociano. Il cubano non perde cadenza, il cinese pare aver spento il motore d’improvviso e arriva per forza d’inerzia. Abbracci dell’uno, viso sorpreso dell’altro. E l’americano Richardson, l’uomo che per tutto l’anno ha pregustato l’oro, finisce fra i due, proprio per quel gioco di mani.

Però no! Così non si può. Se ne sono accorti perfino i giudici Iaaf e i più attenti fra gli osservatori. Per fortuna alla Rai c’è Stefano Tilli, ex atleta e occhio fino anche sul regolamento, sennò i telecronisti erano ancora ai sogni d’oro. L’oro di Robles dura lo spazio di una intervista. Il tanto per dire: «Certe cose succedono». Un vecchio leone dei 110 ostacoli, Eddy Ottoz, conferma. Ma la tradizione non basta. Robles perde l’oro e si becca la squalifica. Successo a Richardson. Liu ha raccontato quello che ha visto. «Quando mi sono avvicinato al nono ostacolo, Robles mi ha trattenuto e fatto rallentare». In perfetto stile da killer delle ombre lunghe: discreto ed efficace. Il giallo del giallo si chiude così.

Potevano creare il giallo quelle due aste spezzate (stessa marca) nella finale di salto con l’asta: roba da brividi e da paura per i protagonisti. È andata bene e Cuba si è consolata con la prima medaglia della storia nella specialità. Poteva essere oro, ma il polacco Pawel Wojciechowski, 22 anni di strapotenza, è arrivato a 5,90 con meno errori. Argento a Borges, stessa misura dopo aver scalato tre primati nazionali. Borges ha 25 anni e di nome fa Lazaro: un nome una garanzia.

Ieri giorno del non ti scordar. Il primo mondiale di Carmelita Jeter nei 100 metri, ormai sulla soglia dell’anzianità atletica (31 anni). La scuola americana della velocità s’è presa la rivincita su quella giamaicana (vedi Blake e Bolt), tenuta alta da Veronica Campbell-Brown: Jeter bellissima e composta nella corsa in progressione. Primo oro per il santone giapponese del martello e per il paese suo: Koij Murofishi spolvera la fama dei nonnetti. A 36 anni, quasi 37, arriva al primo titolo, dopo aver vinto Olimpiadi e ogni altra specie di medaglia. Stavolta ha infilato un 81,24 per metter tutti tranquilli, in una gara per solito destinata all’Europa: in pedana 7 europei e un asiatico. E ha vinto l’asiatico, con capitan Vizzoni finito mestamente 8°, dignitoso il primo lancio (77,04), il resto da comprimario.

E che dire del primo oro del Botswana nell’atletica e nei 400 femminili? Ad ogni mondiale la geografia dell’atletica si allarga. Amantle Montsho ha chiuso spalla a spalla con il cerbiatto Allyson Felix e dimostrato la bontà del prodotto Africa che la Iaaf coltiva nei suoi colleges: la ragazza si allena in Senegal, porta sul viso i segni di 28 anni vissuti fra durezze e fatiche, di recente ha perso anche la casa. Non è proprio una meraviglia fisica, ma un bel carro armato della pista dove ha sempre sfiorato il sogno per poi ritrovarsi ultima (Berlino e Pechino). Invece si è chiuso il sogno di Oscar Pistorius: non ci sarà la sua “prima” in una finale dei 400 metri. Ma è bastata questa prima volta. Oscar ha emozionato e inorgoglito, e dimostrato che la fatica conta forse di più quando non hai le gambe. É finito nella retrovia della sua semifinale e con un tempo lontano da quello delle batterie.

L’americano Merritt e Kirani James, il fenomeno di Grenada, promettono di onorare la finale che avrebbe voluto correre.

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