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Rocca: «Adesso comincio a sentirmi un campione»

Maria Rosa Quario

Primo viaggio del 2006 per Giorgio Rocca. Da Livigno a Pila, 500 chilometri circa. Da solo, musica e telefono a fare compagnia. Pensieri belli.
«Comincio davvero a sentirmi un campione. Da gennaio a dicembre 2005 ho vinto cinque slalom su dieci, e se consideriamo che in quattro sono uscito, in pratica ho perso solo ai mondiali, dove ho chiuso terzo. Stanotte, la prima del nuovo anno, ho pensato proprio a questa mia nuova dimensione, al fatto che per essere trattati da campioni e per sentirsi tali bisogna solo vincere. Finora l’ho fatto, adesso devo continuare così».
Così come?
«Senza rilassarmi mai, senza sedermi sugli allori, perché finora mi è sembrato tutto facile, ho vinto tre slalom su tre senza nemmeno rischiare l’osso del collo, ma gli altri non staranno certo a guardare e pensare che tutto possa continuare così senza problemi sarebbe l’errore più grosso che potrei fare. A livello tecnico, fisico, mentale e nei test sui materiali devo continuare a darci dentro come ho sempre fatto».
A cominciare da oggi, 2 gennaio.
«A Pila, allenamento di slalom da solo con parte del mio staff, Claudio Ravetto in testa, per testare le scarpe nuove che mi hanno preparato dopo che quelle usate finora si sono rotte a Kranjska Gora».
Quanto è dura lasciare la casa, la moglie, il figlio?
«È dura, ma andare ad allenarmi non mi pesa affatto, non mi pesa nemmeno il viaggio, a differenza di molti compagni che si lamentano se devono farsi 400 chilometri in auto».
Feste piene di regali.
«Posso dire con certezza che queste sono state le vacanze di Natale più belle della mia vita, sereno con la famiglia e felice per come sta andando il lavoro. Ho staccato con gli sci il giorno 24, dopo essermi allenato due giorni sulle piste olimpiche al Sestriere. Sono stato a casa, e per quanto possibile con la mia famiglia. In vacanza a Livigno c’era Roberto Manzoni, il mio preparatore atletico, e con lui ho passato due ore al giorno fra palestra e piscina. Un’altra ora era dedicata a terapie per il ginocchio che mi crea sempre un po’ di problemi e che va tenuto sotto controllo, perché mi rendo conto che con il passare degli anni faccio sempre più fatica a recuperare quando si affatica. Gli sci non li ho toccati, non avrei nemmeno avuto voglia di farlo. Ho avuto diversi impegni di pubbliche relazioni, sono venuti a trovarmi giornalisti che con lo sci non c’entrano nulla, e questo è un buon segno, si vede che Giorgio Rocca comincia ad interessare anche in ambienti extra neve. Tutto il resto del tempo, forse troppo poco, è stato per Tania e per Giacomo che dubito mi riconosca. Se pensa qualcosa di me forse pensa che sono un pazzo, perché una mattina l’ho portato a passeggio senza rendermi conto che la temperatura era di meno 29 gradi. Me l’ha fatto notare un amico che ho incontrato per strada. Giacomo era bello coperto, con la sua giacca di pelo di pecora, ma da quel giorno si è preso un po’ di raffreddore e me ne sono sentite di tutti i colori. Per il resto sto con lui e lo coccolo, gli cambio i pannolini, gli faccio il bagnetto, di notte è bravo, ma se anche non lo fosse io non me ne accorgerei perché mia moglie mi obbliga a dormire lontano dalla sua camera proprio per evitare che piangendo disturbi il mio sonno. Ora mi aspetta un mese duro, a casa tornerò pochissimo, ma a Wengen, se deciderò di correre anche la combinata, Tania e Giacomo forse verranno a vedermi».
Da cosa dipende combinata sì o no?
«Dal mio ginocchio. Da come mi sentirò dopo le gare di Adelboden del 7 e 8. Importanti perché in gigante voglio provarci ancora. Sento di avere la possibilità di arrivare nei dieci anche in questa specialità. Posso sembrare presuntuoso, in realtà sono solo realista, perché abbiamo visionato le gare al video e visto che a parte i primi cinque, ancora lontani, di fenomeni non ce ne sono. Fare ancora punti in gigante sarebbe utile anche per entrare nei trenta della specialità e migliorare il mio numero di partenza. Partire con il 16-17 anziché con il 31-32 sarebbe ottimo».
E i progetti per lo slalom?
«Continuare così, ovviamente, senza rischiare troppo. Finora sciare in sicurezza mi è bastato per vincere, ma so che non sarà sempre così».
E la discesa? Come sono andati gli allenamenti al Sestriere?
«Ho avuto riscontri ottimi: da Ghedina, che è in forma, non prendevo moltissimo. Senza allenamento non è male, mi sento deciso e non ho paura, la pista inoltre mi piace molto. Escludo di fare la discesa e quindi la combinata di Kitzbuehel. Viene appena prima dello slalom di Schladming, con il quale ho un conto in sospeso da almeno tre anni. Mi è sempre andato male per svariati motivi, ma prima o poi voglio vincerlo. Con mia moglie ci siamo detti che fino a quando non lo vincerò non smetterò di sciare!».
Chi è Bode Miller?
«È un ragazzo strano che vive la sua vita in modo strano. Non lo apprezzo e non condivido molte sue scelte, ma ognuno è libero di fare come vuole, tanto nella vita gli errori si pagano sempre sulla propria pelle e lui lo sa bene. So che è un tipo che non accetta consigli da nessuno. Mi sembra cambiato, anche con i bambini che gli vanno attorno per gli autografi non è simpatico come un tempo. La notorietà stanca, stressa, non è facile da reggere per uno che caratterialmente non ci è portato. Bode è uno che si diverte solo a sciare e a fare le gare. Poi stacca. Ed è anche uno che pensa solo allo sci, per il resto, per le questioni economiche ha qualcuno che si occupa di tutto».
Il complimento più bello che ha ricevuto finora?
«Me lo ha fatto Thomas Grandi, dopo lo slalom di Kranjska Gora.

Appena ho tagliato il traguardo, davanti a lui per 64/100, mi ha stretto la mano e detto «brutto bastardo, sei troppo forte, imbattibile per noi».

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