Il rock dal vivo sta poco bene Ma lo curano i «grandi vecchi»

Con la «grande depressione» del disco, alle stelle del rock non rimane che il concerto per fare cassa. Lo show dal vivo non è piratabile ed è il Sacro Graal di ogni fan che si rispetti. Però anche i concerti nel 2010 hanno perso parecchi colpi. I dati di Pollstar e del Wall Street Journal non ammettono replica: il fatturato delle 50 tournée rock mondiali più importanti è sceso del 12 per cento rispetto all’anno prima, passando da 3 miliardi e 340 milioni di dollari a 2 miliardi e 930mila. Il flop è più forte negli Usa, dove artisti come Christina Aguilera, Limp Bizkit e Rihanna hanno annullato o ridotto i tour. Là le multinazionali hanno il monopolio dei biglietti con commissioni quantomeno strane (ad esempio un misterioso costo di 2 dollari e mezzo per autorizzare i fan a stampare il biglietto dal proprio computer) e dove un posto «in piccionaia» al Madison Square Garden per Roger Waters costa 150 dollari. Ma anche i grandi promoter se ne sono accorti e Michael Rapino, boss della Live Nation (15mila concerti all’anno circa nel mondo) ha annunciato che il 2011 sarà un anno di grossi sconti sui biglietti, però dà 700mila dollari a un forzato dei concerti come Tom Petty. La crisi si sente anche qui, ma promotori indipendenti come Claudio Trotta della Barley Arts, eletto quattro anni fa in America «manager rock dell’anno», coi suoi numeri e le sue scelte, sostiene che «dal vivo funziona».
Con lo show degli AC/DC (al secondo posto tra i campioni dell’anno con 177 milioni di dollari) ha raccolto 3 milioni di euro e con Springsteen 2 milioni e mezzo. «Il concerto funziona ma da noi il rock è considerato di serie B - sottolinea Trotta -; per le canzonette del Festivalbar si danno da fare tutti, per quella che io chiamo musica popolare contemporanea mancano le strutture e ci mettono sempre i bastoni fra le ruote. Nonostante i grandi numeri di Springsteen a San Siro io sono ancora in causa perché il Boss ha superato gli 80 decibel e ha suonato 22 minuti oltre l’orario previsto dalla licenza. E nessuno mi ha difeso: anche Vasco e Ligabue, che sono i re di San Siro, hanno perso l’occasione di far sentire il loro peso». La ricetta di Trotta è l’accoppiata rock-musical. Produrre We Will Rock You, il musical sui Queen, gli ha fruttato 75 repliche e 2 milioni e mezzo d’incassi lordi, tanto che lo show è tornato in cartellone in questi giorni. «We Will Rock You a Londra è in scena da nove anni - sottolinea Trotta - ma noi non siamo abituati ai musical di lunga durata. Quindi la mia scommessa è quella di riproporlo per 70 repliche in 12 città. E poi riporto il family show Walking With the Dinosaurus che in 23 show ha fatto 3 milioni». Poi Trotta tira la stoccata. «Abbiamo allestito Baharati con centinaia di ballerini e cantanti rigorosamente dal vivo: quattro spettacoli e quasi 6mila spettatori. Certo che un musical come Bollywood tutto in playback guadagna di più. È questione di qualità e di costi».
Appunto, i costi. I biglietti sono cari ma molti artisti hanno cachet inabbordabili. «Col musical si investe nel tempo, l’artista ora guadagna prevalentemente col concerto, per questo alcuni esagerano». Ad esempio? «Ho offerto 280mila euro a Cat Stevens per due concerti e lui ha risposto che siamo molto lontani dai suoi standard. Non era il caso di rischiare, anche se amo il rischio. Avevo scritturato Steve Miller, superstar degli anni ’70, ma ho dovuto annullare perché non se lo filava nessuno. Invece Mika è stato una piacevole sorpresa: 10mila paganti al Forum di Milano».
Lei però gioca sul sicuro: il 13 marzo porta a Milano Kylie Minogue, il 17 luglio Bon Jovi - leader d’incassi dell’anno - a Udine. «Bon Jovi è una garanzia; abbiamo già venduto 30mila biglietti, così come i Deep Purple, che il 18 luglio all’Arena di Verona con l’orchestra hanno già polverizzato 4mila biglietti. Invece la Minogue ha uno spettacolo talmente sfarzoso, venti Tir di scenografie, che mi fa tremare i polsi». A sentirlo parlare sembra che il promoter sia un mestiere da Re Mida: «Ho preso un sacco di fregature ma faccio una vita rock che è sempre stato il mio sogno.

Ad esempio ci ho rimesso con Scissor Sisters che hanno annullato due tour, Ian Hunter, leggenda dei Mott the Hoople, ha avuto 300 paganti; i grandi cantautori John Hiatt e Lyle Lovett al Conservatorio meglio non parlarne. Diciamo che l’artista medio fa fatica, ma se cominciano a crollare i colossi allora sono dolori».

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